The Sumerian Game, intervista ad Andrea Contato
Abbiamo parlato con lo storico-informatico e scrittore che ha recentemente "resuscitato" uno dei primi videogiochi della storia
Oggi scaviamo nel passato con The Sumerian Game. Un nome che risulterà noto giusto agli appassionati più accaniti della storia dei videogiochi e in generale dell’informatica. Si tratta infatti di uno dei primissimi videogiochi di strategia basati su testo, concepito a cavallo degli anni ’60 grazie alla collaborazione tra il Board of Cooperative Educational Services della contea di Westchester (New York) e IBM. L’obiettivo era quello di indagare circa l’uso di simulazioni computerizzate nelle scuole, a scopo didattico.
Un titolo storico (letteralmente), e ingiustamente dimenticato da tutti… O quasi. Andrea Contato è uno storico-informatico appassionato di computer e di videogiochi fin da bambino, ai quali ha dedicato gran parte della sua vita. Anche il suo è un nome che non risulterà propriamente sconosciuto, visto che tra le altre cose è autore di diversi libri frutto di studi e ricerche di una vita. In occasione del recente lavoro di “restauro” svolto su The Sumerian Game, ora disponibile gratuitamente su Steam, abbiamo voluto fargli alcune domande e saperne di più tanto sul gioco quanto su di lui. Di seguito l’intervista. Buona lettura.
Presentati al pubblico italiano.
Mi chiamo Andrea Contato e sono un ricercatore di storia dell’informatica, specializzato soprattutto in quella dei videogiochi. Su quest’ultima materia ho scritto diversi saggi pubblicati in Italia e all’estero, sia in lingua inglese che russa, come “Through the Moongate: la storia di Richard Garriott, Origin Systems Inc e Ultima”. Mi interesso principalmente del periodo “pionieristico” dell’informatica e dell’industria dei videogiochi. Ultimamente mi sto dedicando a recuperare storie perse nel tempo, soprattutto quelle più vicine geograficamente e alle quali in genere si presta poca attenzione, come la storia delle console domestiche per videogiochi prodotte in Italia, ivi compresi i primi autori di giochi italiani e altre ricerche di questo tipo. Sembrerà strano, ma ce n’erano molte e anzi, l’Italia aveva una delle industrie più pionieristiche, arrivando a battere la stessa Atari in questo segmento di mercato. Su questa linea ho pubblicato recentemente il libro “Cabel Electronic, storia della cooperativa bergamasca nella console war dimenticata”.
Sul tuo sito ti presenti, giustamente, come “storico del videogioco”. Tralasciando il fondamentale interesse per la materia come base di partenza, che suggerimenti daresti a coloro che vorrebbero intraprendere un simile percorso?
In Italia ci sono diverse facoltà per chi vuole fare videogiochi. Che io sappia però, la mia materia è trattata solo in modo tangenziale, nei corsi di game design. Si tratta per ora di un argomento pionieristico; in futuro credo che ci sarà bisogno di un crescente numero di specialisti, capaci di recuperare e saper eseguire software per piattaforme obsolete, oppure tecnici riparatori con le competenze necessarie per tenere in funzione sistemi informatici fuori produzione da decenni. Si tratta però di una quantità di informazioni enorme, che richiede anni di studio sui libri e altrettanta pratica. Probabilmente (oltre a leggere i miei libri ahaha) il modo migliore per farsi le ossa in questo campo è quello di mettersi in contatto con una delle numerose realtà associative operanti in questo settore e darsi da fare. Ci sono associazioni culturali per ogni gusto: dedicate a singole piattaforme o aspecifiche e interessate alla tecnologia cosiddetta vintage tout court, ai videogiochi o ai computer, o tutti e due. Ogni associazione ha numerosi studiosi amatoriali che dispongono di una quantità impressionante di competenze acquisite con anni di studi e con tanta, tanta passione. Si tratta di un pozzo di informazioni e sapere che ha un valore immenso e che dovrebbe essere il punto di partenza di ogni studio serio.
Parliamo del tuo più recente lavoro, quello per cui siamo qui oggi: The Sumerian Game. Presentaci il gioco e raccontaci del tuo lavoro di “restauro”.
La storia di The Sumerian Game è molto interessante. Si tratta di uno dei primissimi giochi per computer, sviluppato nella prima metà degli anni ’60, quando i computer erano ancora materia di libri e film di fantascienza e solo una minoranza della popolazione americana vi aveva accesso (principalmente ricercatori, docenti e studenti universitari, tecnici specializzati). Lo scopo di The Sumerian Game era studiare la possibilità di usare il computer per insegnare: la chiamavano CAI (Computer Assisted Instruction ndr), ed era la moda di quegli anni. Tutto accadde nel distretto scolastico di Westchester, dove aveva sede la più grande e celebre compagnia di computer, International Business Machines Corporation (IBM). Il direttore del distretto, Noble Gividen, contattò proprio IBM per sondare il campo. Non lo sapeva, ma la compagnia stava già pensando a un progetto simile e aveva un uomo, un filosofo di nome Bruse Moncreiff, già al lavoro per capire se e come sostituire parte dei docenti con macchine e computer.
Dopo un primo incontro tra docenti e tecnici di IBM, si decise di creare un gioco gestionale ambientato nell’antica terra di Sumer in cui il giocatore (ovvero lo studente) doveva affinare le proprie capacità di calcolo per fare scelte strategiche che implicavano conoscenze o ragionamenti di economia, matematica e storia. Lo scopo del gioco, sin dalle prime bozze, era quello di mettere il giocatore di fronte a una scelta complessa. Con risorse limitate (il grano raccolto) doveva dare da mangiare al suo popolo, seminare i campi per il raccolto successivo ed eventualmente conservare qualche cosa per le stagioni peggiori. Dietro questo semplice gameplay c’erano calcoli matematici (somma e sottrazione quando si trattava di estrarre grano dai magazzini o destinarne una parte al raccolto e una alla popolazione, moltiplicazione e divisione quando si trattava di calcolare il rapporto ideale di grano per abitante o per acro coltivato) e ragionamenti economici che dovevano spingere il giovane ad applicarsi con lo stimolo della sfida e del divertimento.
Il progetto ebbe un discreto successo; nel senso che il sovrintendente, il Dr. Richard Wing, annotò che gli studenti più interessati (la maggior parte) imparavano prima, anche se poi le competenze apprese si disperdevano più velocemente che con i metodi tradizionali. Il vero problema era che il sistema era tutto tranne che economico e i costi non erano sostenibili per un’educazione di massa. Nel 1967 i soldi finirono e il progetto venne messo in pausa. Il codice sorgente, scritto in FORTRAN e memorizzato su 15.000 schede perforate andò perso, mentre i sistemi informatici su cui era stato eseguito vennero dismessi nei decenni successivi. Il gioco però rimase nella memoria di quella manciata di studenti che l’aveva provato e passò di bocca in bocca, finché qualche informazione non arrivò in Canada. Douglas Dyment, un programmatore di DEC, venne a sapere del gioco da una sua studentessa e decise di riprogrammarlo sul suo PDP-8 in linguaggio FOCAL.
Non avendolo giocato personalmente, si orientò sulla base di quello che gli era stato raccontato e ci mise del suo inventando meccaniche nuove, come la compravendita dei terreni, assente in The Sumerian Game. Lo chiamò King of Sumeria e lo pubblicò in una newsletter di DEC, la quale aveva molti abbonati. Così finì nelle mani di una grossa schiera di aspiranti programmatori con molto tempo libero e poco software su cui lavorare. Fu un successo istantaneo. Tanti lo modificarono, lo personalizzarono e aggiunsero meccaniche, ma il vero salto di livello avvenne quando David Ahl, altro dipendente di DEC, prese il sorgente in FOCAL e lo tradusse nel molto più popolare e diffuso BASIC. Gli cambiò anche nome, Hamurabi, e aggiunse meccaniche nuove come la valutazione finale del giocatore, oltre al suo simpatico senso dell’humor che traspare dal testo ironico che scrisse per mettere una toppa alla sinteticità estrema del programma di Dyment. Hamurabi in BASIC fu un successo strepitoso: centinaia di migliaia di persone lo giocarono e lo modificarono, aggiungendo altre meccaniche e rendendolo sempre più complesso.
Poi fu la volta di George Blank, un pastore con il pallino dell’informatica, che lo riprogrammò dandogli un’interfaccia grafica rudimentale per il suo TSR-80 e aggiunse la meccanica multiplayer Hot-Seat perché, avendo 3 figli, voleva dar loro un gioco in cui gareggiare tutti contro tutti. Amante di Guareschi, gli diede il nome di Santa Paravia en Fiumaccio, il capostipite dei city builder grafici. Nonostante la sua influenza, The Sumerian Game rimase poco noto finché un ricercatore americano, Devin Monnens, non trovò qualche documento: delle diapositive e tre listati di gioco stampati su carta. Il gioco infatti non funzionava su video, ma veniva stampato su rotoli di carta continua. Grazie alla conservazione dei gameplay stampati, insieme allo studio degli appunti di Richard Wing, sono riuscito a ricostruirne il funzionamento. Non è stata un’impresa semplice. Altri ci avevano provato, ma alla fine hanno lasciato perdere per via della complessità del lavoro di incastro dei singoli pezzi. Ci ho lavorato a singhiozzo per 5 anni, ma il risultato finale è una ricostruzione fedele al 99%: c’è tutto, mancano giusto tre frasi che nel listato che ho usato non comparvero mai nell’output stampato.
Se dovessi provare a convincere la fascia più giovane o comunque più recente (nel senso che si sono approcciati da poco al medium) di videogiocatori a tralasciare per un momento i titoli più convenzionali per provare The Sumerian Game, cosa diresti loro? Come gli “venderesti” l’esperienza?
Prima di Civilization, di Cities Skylines e di Sim City, c’era Santa Paravia en Fiumaccio. Come si è detto, Santa Paravia era già la terza iterazione di The Sumerian Game. Provarlo oggi potrebbe risultare traumatico (niente interfaccia grafica, solo testo, niente disegni, solo il rumore dei martelletti della telescrivente) ma ci si può intravedere il filo conduttore creativo tra i giochi odierni, sviluppati con le tecnologie disponibili oggi, e quelli di ieri. Un tempo ci si divertiva con poco: ma quel poco, agli occhi di chi non aveva visto mai un computer, era avanzato e tecnologico. Quasi fantascientifico! Proprio come il più potente dei supercomputer di oggi. E poi ricordo che il gioco è disponibile gratuitamente su Steam.
Nel tentativo di raggiungere il pubblico più vasto possibile, passare proprio per Steam è inevitabile. Ma in un mercato dove anche remastered molto “pigre” vengono vendute a prezzi irragionevoli, come mai hai scelto di rendere fruibile gratuitamente il tuo lavoro?
Non si tratta di un mio videogioco, bensì di una mera ricostruzione, il più fedele possibile all’originale. Inoltre si tratta di un gioco molto semplice, sviluppato da un pessimo programmatore (sto parlando di me): è davvero rudimentale e mi sarei sentito in difetto a metterlo in vendita. Forse sono troppo idealista, ma ho pensato di affidarmi all’interesse delle persone per riscuotere, eventualmente, il supporto monetario necessario a procedere con altri progetti simili. Il Supporter Pack (disponibile come DLC a 5.89 euro) serve proprio a chi vuole mandarmi il messaggio: “ben fatto! Lo compro affinchè tu vada avanti a fare progetti simili”. Oltretutto questo pacchetto serve a chi potrebbe volerne sapere di più sul gioco e su come è stato recuperato. Infatti sblocca l’accesso a un lungo documento contenente la spiegazione del processo di recupero. E come ulteriore incentivo vi è allegato anche l’ebook del mio primo libro della serie Video-Giochi, ovvero “Persone, giochi e compagnie che fecero la storia dei videogiochi: dalle origini al 1979”.
Il tema della conservazione e della preservazione dei videogiochi è più attuale che mai. Negli ultimi anni numerose personalità del medium si sono espresse al riguardo, manifestando la fisiologica preoccupazione circa il disinteresse delle grandi aziende circa la suddetta tematica. Quale è il tuo punto di vista in merito? Cosa suggeriresti di fare?
Sfortunatamente non ho soluzioni in tasca. Servirebbe un intervento normativo che vedo molto complesso e forse non alla portata dall’attuale classe dirigente, sia italiana che estera. Da parte loro, molti amatori, ricercatori e appassionati stanno facendo quanto possibile per rimediare ai danni del tempo e preservare. Purtroppo, a volte questi tentativi sono condotti in modo goffo, superficiale o con intenzioni non del tutto nobili. Per contro, ci sono aziende guidate in modo non sempre lungimirante, che finiscono per intervenire con mano pesante. Il problema non può essere risolto dagli appassionati, ma non vedo soluzioni dall’alto. Complessivamente sono pessimista, ma sarei lieto di essere smentito dagli sviluppi futuri.
Parlaci dei tuoi prossimi progetti, anche e soprattutto in ambito videoludico. Hai in mente di effettuare altri restauri? Magari realizzare qualcosa di tuo?
Sì, dipendentemente dalla risposta (per ora tiepida, ma è anche vero che non sono riuscito a far circolare la notizia), ho in mente altri recuperi di questo tipo e quindi di creare una serie di software che consentano a chiunque di sperimentare da casa propria i primissimi giochi elettronici della storia. Un’esperienza che per ora non è sempre possibile oppure richiede lunghi e costosi viaggi presso musei all’estero. Non credo farò mai un gioco tutto mio, ma mi piacerebbe esplorare la possibilità di reinventare la fase 2 e 3 di The Sumerian Game. Quella che ho ricostruito è solo la fase 1: le altre due andarono perse completamente e non abbiamo nemmeno grandi indizi sul loro funzionamento, per cui più che ricostruzione, parlerei di reinvenzione. Sto inoltre lavorando per terminare la serie Video-Giochi (è aperta proprio ora la prevendita del volume 4 dei 5 previsti. I primi tre sono già editi in italiano, e il primo anche in inglese) e ho tra le mani della documentazione importantissima sulle console prodotte in Italia, in particolar modo su Ping-O-Tronic di Seleco, la seconda console della storia. Ho più progetti che tempo per portarli avanti, purtroppo. Ma in qualche modo farò.
Grazie per il tuo tempo, Andrea.
Grazie a voi. Sul mio sito internet potete trovare tutti i miei riferimenti social e in generale rimanere aggiornati sulle mie attività. Un saluto alla redazione de IlVideogioco.com!