Prendete Dragon’s Dogma, mettetelo sotto steroidi e aspettate dodici anni. Mentre aspettate potete già immaginare dove Capcom sia andata a parare: un nuovo drago, un nuovo Arisen e un nuovo cuore da cercare. D’altronde squadra che vince non si cambia, come si suol dire. Ed è proprio questa la filosofia alla base di Dragon’s Dogma 2, ovvero continuare nel solco del primo capitolo senza voler stravolgere un concept che tanto si era lasciato apprezzare dal pubblico.
Prendete la vostra pedina preferita, indossate l’armatura e preparatevi a sfogliare le pagine della nostra recensione della versione Xbox Series X/S di Dragon’s Dogma 2, a cura Giuseppe Pirozzi. Ricordiamo che il gioco, pubblicato da Capcom, è disponibile anche su PS5 e Pc, via Steam. Buona lettura.
IL VIAGGIO DELL’ARISEN
Iniziamo subito col dire che Dragon’s Dogma 2 sarebbe da 10, se contasse solamente il combat system. Il “problema” è tutto il resto. La trama è soltanto abbozzata, le città sono scheletri abitati da organismi senza intelletto e il design di tante (troppe) quest è cervellotico, per non dire impacciato o esageratamente pretestuoso nell’atto di mandarci da un punto all’altro del continente. Ma alla fine quello che conta è il viaggio e non la destinazione, e quella Hideaki Itsuno ce l’aveva in mente sin dal primo capitolo.
Ci sono giochi di ruolo che fanno delle città e delle loro regole, leggi e relazioni il punto più interessante della propria esperienza, come gli universi di The Elder of Scrolls e Fallout, codificati da codici morali e penali. Ci sono giochi di ruolo permeati da una fortissima narrativa come quelli di The Witcher. Altri ancora puntano tutto sulla varietà degli scontri e la profondità del combat system, e sul trovarsi in situazioni sempre diverse affrontando nemici dalla stazza colossale. E in questo il sequel di Dragon’s Dogma: Dark Arisen non teme rivali.
Intraprendere una missione in Dragon’s Dogma 2 sembra più che mai un pretesto per perdersi tra le terre selvagge di Batthal e del Vermund, finendo da un momento all’altro nel difendersi dalle melodie sonnolente delle arpie mentre siamo sul ciglio di un burrone. O affrontando un branco di vipere velenose mentre ci piomba un grifone dall’alto senza preavviso, a cui potremmo aggrapparci ed essere trascinati fino al nido, su qualche pendio inesplorato.
La trama è riassumibile così. Saremo l’Arisen, dovremo inseguire il drago e recuperare il nostro cuore, ma strada facendo bisognerà scacciare il re usurpatore del regno di Vermund e magari scoprire come faccia a spacciarsi per tale. Su questo canovaccio prende vita la trama del gioco, che si dirama tra missioni non particolarmente ispirate e visibilmente incomplete. Dopo 110 ore di gioco e tre finali, possiamo affermare tranquillamente quanto proprio la trama, fatta di pochi momenti realmente esaltanti e tanta confusione, sia uno dei principali punti deboli della produzione.
Missioni e cutscenes non riescono a restituire il senso di grandezza che la trama vorrebbe regalare, dando un tono leggermente forzato all’opera che cerca di dare un’aria di epicità all’avventura. Cosa nella quale riesce, paradossalmente, solo quando non ci prova sul serio. Questo perché l’Arisen riesce a dare il meglio di sé nelle situazioni meno pensate e “scriptate”, quando il giocatore smette di fare paragoni con questo o quel gioco di ruolo e si perde tra le sfide e le creazioni di Dragon’s Dogma 2.
Certo non tutte le quest sono di scarsa fattura, e alcuni momenti risultano comunque meritevoli, come gli enigmi della sfinge. Non che ci siano mostruosità o scorci mai visti, ma la varietà delle classi e il sistema delle pedine riescono a creare una sensazione di battaglione versatile e pronto a tutto, capace di affrontare per intero le sfide che il gioco ci pone davanti.
A GAME OF PAWN
Proprio le pedine, che fanno il loro apprezzatissimo ritorno dopo il successo del primo capitolo, rappresentano uno dei tratti distintivi e meglio riusciti di questo secondo capitolo. Esse infatti sono capaci di coniugarsi alla perfezione durante gli scontri con le altre classi, e garantiscono al giocatore ore di appagamento grazie alla loro versatilità. Per poter viaggiare alla ricerca del drago sarà necessario saper intrecciare nel proprio party curatori, guerrieri e classi abili dalla distanza.
Tutte da scegliere nella moltitudine di approcci offerti che vanno dalle classi più offensive (guerriero, distruttore, cavaliere mistico) a quelle prettamente di supporto (incantatore, mago) o ad altre incredibilmente versatili (arciere, ladro, arciermago). Oppure avremo il warfarer, un vero e proprio jolly capace di soddisfare qualsiasi palato. Zaino in spalla dunque, e preparatevi ad affrontare le giornate ma soprattutto le notti con un bestiario composto da orchi, grifoni, troll, draghi, colossi, chimere e chi più ne ha più ne metta.
E vi assicuriamo che ogni volta sarà come la prima, perché non ha prezzo fare a fette la testa di una gorgone, far piovere una pioggia di meteore su un minotauro o lanciare una freccia esplosiva al cuore di un drago, che sia la prima o la ventesima volta. Già col primo capitolo Capcom ha mostrato di aver sempre saputo cosa dare in pasto al giocatore per gratificarlo.
E Dragon’s Dogma 2 evolve appieno le fondamenta gettate dodici anni fa quando la software house nipponica ibridò l’epicità dello scalare i nemici giganti di Shadow of the Colossus con una spruzzata di sopravvivenza alla Monster Hunter. Se solo fossero stati aggiunti miglioramenti come la possibilità di lock-on sui nemici o esteso la schivata (appannaggio esclusivo del ladro) a tutte le classi, staremmo parlando di uno degli ARPG più profondi e rigiocabili della generazione attuale.
UN REGNO IMMATURO
Purtroppo i limiti del brand sono svariati, quasi fisiologici. Perchè ciò che Dragon’s Dogma 2 vuole fare bene lo fa ai margini dell’eccellenza, mentre il resto appare quasi approssimativo. Di fatto Capcom dà l’impressione che tutto ciò che non rientra nella sfera del menar le mani (e di chi le mena) venga considerato un orpello. Abbiamo accennato prima alle città, enormi cattedrali nella sabbia. Nella fattispecie non sono spoglie o poco curate come si potrebbe pensare, ma di certo non danno l’impressione di una Whiterun di o Cyrodiil in quanto a complessità.
Innanzitutto i cittadini non seguono una routine giorno/notte: di conseguenza i negozi sono sempre aperti e non sembra neanche esistere il concetto di proprietà privata. Questa immutatezza compromette l’immersione nel mondo di gioco. Tra le interazioni possibili con gli abitanti c’è la possibilità di incrementare il proprio rapporto con loro facendo donazioni (fiori, pietre preziose, ecc) e svolgendo quest dedicate. Ciò farà sì che si affezionino a noi sbloccando persino una manciata di romance o permettendoci di accedere a tecniche guerresche avanzate relative alle varie vocazioni.
Se all’amore verso il prossimo preferissimo la guerra, sappiate che c’è un posto in prigione con su scritto il nostro nome in caso di risse e omicidi. Tra i tratti distintivi delle città di Vermund e Bakbattahl ci sono gli ossari, obitori in cui vengono trasportati i cadaveri dei personaggi caduti e riportabili in vita tramite un cuore di drago. Poi abbiamo le stazioni dei carri dei buoi, che funzionano da corriera tra una città e l’altra nel caso dovessimo essere a corto di pietre del teletrasporto.
Anche in questo capitolo fanno inoltre ritorno gli Abissus, le creature che ci inghiottiranno in un sol boccone qualora dovessimo immergersi in qualcosa di più profondo di una semplice pozzanghera. Un ritorno di cui avremmo fatto volentieri a meno, magari con l’Arisen finalmente in grado di nuotare e raggiungere nuovi orizzonti. Tra le note più dolenti c’è da segnalare la gestione dei salvataggi, visto che anche questa volta non solo ci verrà impedito di crearne di multipli, ma ogni azione sovrascriverà quella precedente, esponendoci al rischio di quest impossibili da completare.
Vi è poi un rilevante problema di ottimizzazione, visto che nonostante il cap a 30 fps su console assisteremo comunque a dei cali di framerate, specie nelle grandi città. A ciò si aggiunge la lentezza nel caricamento delle texture, con frequenti fenomeni di pop-up. Altra menzione doverosa riguarda poi la telecamera: una volta che il nostro personaggio sarà aggrappato a un mostro, spesso non riusciremo a vedere cosa sta facendo l’Arisen in quanto compenetrato col terreno.
Concludiamo infine con un nostro pensiero sulla questione delle microtransazioni, sulla quale si è detto di tutto e dove la pagina Steam del gioco riporta ancora i segni delle discussioni (leggasi review bombing). Riteniamo tali polemiche ingiustificate e pretestuose, poichè nella realtà dei fatti Dragon’s Dogma 2, e nello specifico Capcom, non spinge mai a fare acquisti. Tutto ciò che è in vendita per del denaro reale può essere facilmente ottenuto durante il normale progredire dell’avventura.
DA AVERE SENZA RISERVE
Dragon’s Dogma 2 è il degno erede di una saga partita un po’ in sordina, ma che nel corso degli anni è stata (ri)scoperta e amata dal pubblico. Questo secondo capitolo riesce a migliorare la formula originale senza snaturarla: tuttavia si assume davvero pochi rischi per quanto riguarda storytelling e worldbuilding. Prima dell’acquisto dovreste chiedervi: quanto pesa immergersi in un mondo vibrante e che sembri in continuo mutamento? E le quest devono essere soltanto un pretesto per viaggiare e uccidere quante più aberrazioni possibili?
Chiariamoci, al netto dei difetti e delle imperfezioni Capcom ha offerto al pubblico uno degli ARPG più divertenti e longevi di questa generazione. L’esplorazione e le infinite possibilità negli scontri ne fanno un titolo irrinunciabile per tutti gli appassionati del genere, anche nel caso fossero orfani del primo capitolo. Qualora non siate alla ricerca di qualcosa capace di reinventare la ruota, vi troverete tra le mani un solido quanto affascinante gioco di ruolo d’azione a cui dedicare centinaia di ore, e altrettante maledizioni.