Romanzi best seller, talk-show, scene del delitto. Lo abbiamo atteso tanto, ma ne è valsa la pena. Alan Wake 2 rappresenta il punto più alto raggiunto negli ultimi anni da un videogioco in quanto a commistione di narrazione, sceneggiatura e gameplay. La recensione potrebbe quasi finire qui se non fosse che c’è bisogno di parlare, e tanto, dei punti di forza ma anche delle zavorre che questo capitolo si porta dietro. Remedy Entertainment è riuscita a creare un sequel che già rappresenta un’opera senza tempo.
Un instant-classic che amplia quanto visto nel primo capitolo e annessi, ma che funziona ottimamente anche come espansione del mondo di Control (qui la nostra recensione) e del cosiddetto Remedy Connected Universe. Prendete una tazza di caffè, mettetevi comodi e preparatevi a sfogliare le pagine della recensione della versione Xbox Series S di Alan Wake 2, curata da Giuseppe Pirozzi. Ricordiamo che il gioco, pubblicato da Epic Games, è disponibile anche su PS5 e Pc, via Epic Games Store. Buona lettura.
NON È UN LAGO, È UN OCEANO
Questo cliffhanger chiudeva l’ultimo romanzo di Alan Wake prima di tredici anni di oblio. Era il 2010 e strani avvenimenti si erano verificati nelle zone del lago Cauldron, nei pressi di una tipica cittadina americana nella provincia di Washington: Bright Falls.
Appassionati di ornitologia e adolescenti in calore non erano più i soli a frequentare le sponde del lago. Una crescente oscurità aveva avvolto la caldera dopo la misteriosa sparizione dello scrittore, portando un macabro turismo alla tranquilla cittadina e un numero sempre maggiore di persone scomparse.
Non semplici delitti ma omicidi rituali, di un genere perverso e raccapricciante che sembrava uscito da uno dei romanzi di Wake. Così quando l’ennesimo cadavere viene rinvenuto da una coppia di turisti, la faccenda diventa troppo grande per essere risolta dalle mani impregnate di ciambelle di uno sceriffo di provincia.
Entrano così in scena Saga Anderson e Alex Casey, agenti del Federal Bureau of Investigation alle prese con un caso del tutto unico che intreccia paranormale e follia, dove le pagine premonitrici di un romanzo che non dovrebbe esistere narrano un futuro oscuro, a cui non sembra esserci scampo.
ROMANZO A QUATTRO MANI
Se il primo Alan Wake era un thriller psicologico in salsa action, con questo secondo capitolo Remedy Entertainment ha voluto virare chiaramente verso il genere dei survival horror. Una struttura open-map con inventario estremamente limitato e un numero contato di munizioni fanno da sfondo a un Alan Wake alle prese con un dark place più onirico e cinematografico che mai.
Per un Alan intrappolato c’è una Saga Anderson dall’altro lato della realtà. Alan Wake 2 sfrutta l’espediente del doppio protagonista per raccontare una storia che cambia frequentemente ritmo. Le fasi di Saga sono più tese all’esplorazione di paesaggi aperti, alla ricerca di collezionabili e prove per capire chi ci sia dietro la pila di cadaveri, mentre l’avventura di Alan è più lineare e filmica, con frequenti scelte registiche da lasciare a bocca aperta.
Affidarsi a due protagonisti si è rivelata una scelta estremamente interessante sia per dare un’andatura sempre coinvolgente agli eventi che per venire incontro a chi non dovesse ricordare quanto avvenuto nel primo capitolo (o a chi non dovesse averlo giocato). Saga è una tela bianca e non conosce Wake o gli avvenimenti occorsi tredici anni prima. Il giocatore (ri)scopre con lei e la sua bacheca piena di post-it facce, avvenimenti e luoghi legati agli omicidi rituali.
In questo modo Alan viene lasciato libero di portare avanti la sua storia senza la necessità di ritornare su temi già trattati. Per ogni indizio, dialogo e collezionabile degno di nota Saga potrà accedere al suo Palazzo Mentale (una riproduzione della stanza d’albergo dove alloggia, in cui stipa tutti gli elementi relativi al caso), dove collegherà le informazioni in suo possesso alle domande insolute. Questo escamotage serve a tenere il giocatore focalizzato sull’avanzare della storia, oltre che a permettergli di tornare su punti già affrontati senza la necessità di inondarlo di codex.
ALAN PAYNE
Le fasi di indagine sono estremamente leggere e guidate, dunque per quanto facciano il loro dovere non aspettatevi la complessità tipica di un’avventura investigativa. A queste fanno da contraltare le fasi di shooting basate sulla contrapposizione oscurità/luce ereditate dal primo capitolo, che rendono i nemici avvolti da uno scudo altrimenti impenetrabile alle armi da fuoco. A ritornare è anche l’inseparabile torcia, affiancata da un arsenale quanto mai completo di armi.
Balestre, pistole e fucili a pompa rimarranno i nostri migliori amici per sfuggire alle orde di posseduti che infestano la provincia di Washington. Bengala, flashbang e taniche di benzina invece saranno cruciali per liberarsi dagli agguati più letali, così come una mano ferma e pronta a colpire i punti deboli dei nemici. Se da un lato il gameplay viene reso fluido da un feedback delle armi e dei colpi inferti davvero certosino, verso l’ultimo terzo di gioco la difficoltà degli scontri andrebbe tarata meglio a causa degli spawn ravvicinati dei nemici. Tutt’altro che facili da abbattere.
Nota dolente è poi l’inventario. Strutturato a caselle, richiederà un tetris molto apprezzato dagli amanti dei survival horror che l’hanno perfezionato in anni di Resident Evil. Peccato però che questo diventerà un problema dopo metà dell’avventura con Saga. Ovvero quando si inizieranno ad accumulare risorse non scartabili che progressivamente satureranno la cassa degli oggetti, rendendo quindi impossibile accumulare munizioni e kit medici sparsi per la mappa.
A tal proposito andrebbe rivista anche la funzione di accumulo degli oggetti, che raggiunta una soglia minima (ad esempio di due kit medici) richiederà un altro slot per stiparne degli altri. Ad arricchire l’esplorazione ci saranno anche quattro tipi di collezionabili. Le filastrocche, che una volta risolte sbloccheranno uno charm per il braccialetto di Saga garantendole un bonus. Le casse della setta, spesso affiancate da enigmi, foriere di loot. E infine parole del potere e cestini del pranzo di Alex Casey, che garantiranno bonus permanenti ai due protagonisti.
GRAFFI SU CARTA
Dicevamo in apertura che Alan Wake 2 rappresenta già un classico per come unisce narrazione, gameplay e sceneggiatura. Un grande merito di questo connubio è dovuto alla scrittura di Sam Lake e all’eccezionale spettacolarità delle sequenze in live action, che illuminano l’oscurità che circonda i due protagonisti di effetti di luce liminali che trasportano la scena da un posto a un altro senza che lo spettatore se ne renda conto. Chi ha giocato Control avrà bene in mente il corridoio del posacenere.
Questa nuova avventura è costellata di folklore finnico e riferimenti a show di culto americani quali gli intramontabili Twin Peaks e The Twilight Zone, oltre a Se7en, Fight Club e Taxi Driver, che hanno ispirato la New York del luogo oscuro. Lo sforzo artistico che c’è dietro Alan Wake 2 traspare dalla cura nei dialoghi tra i protagonisti e la non banalità dell’intreccio. Un crescendo di tensione accompagna tutta l’opera, che trova anche il tempo di premiare il giocatore/spettatore con un vero e proprio film in-game, oltre all’esilarante quanto sdrammatizzante musical che accompagna una delle ospitate di Wake al late show.
La sceneggiatura non solo impressiona per l’alternanza tra momenti di suspence e di comicità, ma risalta nelle pagine scritte da Wake disseminate per l’avventura. Lo stile (chiaramente letterario) che trasuda dalla narrazione delle pagine stacca nettamente con lo scorrere dei dialoghi di Saga e Casey, e offre un tono altisonante che trasmette il legame indissolubile con lo scrittore che alimenta l’intera storia. A questo va aggiunto che il gioco funziona benissimo sia in quanto sequel che come nuovo snodo del Remedy Connected Universe.
Tante facce note di Bright Falls fanno il loro ritorno in quest’avventura, accompagnate da altre viste in Control e persino Quantum Break. Se questo eccezionale raccordo di storia e atmosfere è riuscito così bene è grazie anche alla polifonica colonna sonora, che fa un lavoro gargantuesco nel dettare l’umore delle fasi di gioco. Da un survival horror ci aspetteremmo un’orgia di musiche tristi, graffianti e malinconiche. Tuttavia Alan Wake 2 impressiona per varietà e qualità di generi, oltre che per i toni che riesce a toccare. Dal rap all’heavy metal (Old Gods of Asgard), senza contare il coinvolgimento della compagnia di Helsinki Fried Music.
CORRETTORE DI BOZZE CERCASI
Se Alan Wake 2 fosse un romanzo, ci sarebbero tanti errori da matita blu. Dal day-one sono già diverse le patch rilsciate dalla software house, ma i problemi che hanno afflitto le run di migliaia di giocatori permangono. Nelle oltre trenta ore di prove infatti siamo incappati in una ventina di crash. Un inconveniente serio certamente risolvibile, ma che al momento può tediare i giocatori più sfortunati anche con alcuni glitch di troppo. Nella fattispecie non ci sono capitati bug tali da compromettere in maniera irreversibile la run, ma sappiamo di giocatori che hanno perso ore di gioco a causa di problemi che non permettevano loro di proseguire con la storia.
In compenso abbiamo fatto esperienza in prima persona di uno strano e frustrante glitch che ci impediva di accedere agli slot laterali dell’inventario di Saga. Cosa che ci ha costretto a manovre bizzarre e lunghe per poter spostare o equipaggiare un oggetto. O anche di trovare segnati nella mappa oggetti che in realtà non esistevano. Segnaliamo inoltre la presenza di alcuni fenomeni di desync nelle cutscene iniziali, sia in termini di audio che di sottotitoli (almeno quelli italiani). Consigliamo quindi di giocare l’intera avventura in inglese per evitare accavallamenti o ritardi nei dialoghi, in attesa di una patch correttiva.
DA AVERE ASSOLUTAMENTE
Alan Wake 2 è il perfetto sequel per un gioco di culto che ha lasciato milioni di videogiocatori in un limbo lungo più di una decade. Un’opera monumentale che conduce Remedy Entertainment nell’olimpo degli studi di sviluppo contemporanei. Neanche agli albori con il noire di Max Payne o con l’azione sfrenata e l’estetica fuori dal mondo di Control avevamo visto la software house finlandese tanto in forma. Rimangono degli spigoli importanti da limare, ma vi è tanta sostanza che testimonia quanto il videogioco abbia raggiunto un’enorme maturità artistica.
Tale da non dover più prostrarsi dinanzi ai media cinematografici, a cui comunque fa riferimento. Poi certo, come da tradizione il finale non è un finale e dovremo probabilmente attendere un DLC per scoprire dove vuole andare a parare. In ogni caso esperienze come questa si contano sulle dita di una mano, perciò non pensateci troppo e fatevi attrarre dalla tenebrosa bellezza di Bright Falls. Non ve ne pentirete.
Pregi
Instant classic di cui si parlerà per molti anni in materia di storytelling. Espande il Remedy Connected Universe arricchendo il lavoro iniziato con Control e generando un perfetto equilibrio tra survival horror e thriller psicologico.
Difetti
Diversi problemi tecnici continuano a minarne la fruizione. Una ricalibrazione degli spawn fin troppo frequenti dei nemici nell'ultima parte di gioco non guasterebbe.
Voto
9+