Kingdom of the Dead, recensione

Lo sparatutto horror disegnato a mano di Dirigo Games ci regala un bel po' di stile, ma meno sostanza del previsto

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Lo diciamo subito. Kingdom of the Dead è un titolo che parte con delle idee interessanti. Ma che, come vedremo, finisce con l’esaurire davvero prematuramente le frecce al suo arco. Lo sparatutto horror disegnato a mano realizzato dallo studio indipendente Dirigo Games non riesce a sopperire con il suo stile peculiare alle notevoli lacune di gameplay.

Ora vi spiegheremo perchè. Di seguito la recensione di Kingdom of the Dead, curata dal nostro Simone Rovere. Il titolo, pubblicato da Hook, è disponibile esclusivamente su Pc, via Steam. Vi auguriamo una piacevole lettura.

UNA NOTTE PARTICOLARE

In Kingdom of the Dead impersoneremo l’agente Chamberlain, un docente che ha iniziato a lavorare su un progetto segreto governativo denominato Gatekeeper. L’obiettivo di quest’ultimo è rispedire nelle viscere della terra le armate della Morte in persona. Un conflitto che va avanti da generazioni, e a cui noi dovremo porre fine. Un incipit semplice e diretto, arricchito (narrativamente) giusto dalle scarne cartelle dell’ispettore, che conterranno brevi informazioni sugli stage che dovremo affrontare.

La progressione nel gioco infatti è suddivisa per livelli, attraverso cui ci muoveremo in maniera lineare. Senza particolari guizzi o colpi di scena di sorta. Certo, in un titolo del genere si può facilmente sostenere che la narrazione può essere ritenuto un aspetto secondario. Peccato che le cose non migliorino più di tanto imbracciando le armi, anzi.

SPARARE SULLA CROCE ROSSA

Nel suo dichiarato intento di voler essere uno sparatutto in prima persona della vecchia guardia, Kingdom of the Dead compie però dei notevoli scivoloni. Non riuscendo a offrire spunti di gameplay interessanti a causa di scelte di design alquanto discutibili. Partiamo dalle hitbox, che si riveleranno un problema per tutto il corso dell’esperienza.

Esse infatti risulteranno più volte straordinariamente imprecise, sia per quanto riguarda i nemici “comuni” che i boss degli stage. In uno sparatutto di questo tipo oltretutto la precisione ricopre solitamente un ruolo primario. A maggior ragione se sono presenti, come in questo caso, meccaniche quali lo smembramento dei corpi delle creature infernali.

Anche se, a onor del vero, ci ridurremo sempre a una corsa all’headshot visto che altri tipi di danno daranno l’impressione di essere ininfluenti. Tali hitbox (particolarmente tragiche quando impugneremo la spada) renderanno l’atto di colpire punti specifici un terno al lotto. Sulle lunghe distanze sarà altrettanto frustrante, visto che alcune collisioni sembrano proprio non essere “calcolate” dal sistema.

Grosse imprecisioni che trasformeranno molti stage in una corsa furibonda al checkpoint più vicino. Con la speranza di evitare più scontri (ripetitivi e mai particolarmente avvincenti) possibili. Anche sul fronte armamentario la situazione non è delle migliori. Oltre alla spada (che si potenzierà a ogni nemico ucciso), potremo contare su un arsenal terribilmente “standard”, scarno e poco ispirato. Una manciata di armi che per di più sarà possibile ottenere già nel primo stage, senza alcuna variazione di sorta.

POCA SOSTANZA

Se un flebile barlume di speranza poteva persistere sul versante del bestiario… Ecco che Kingdom of the Dead finisce col deludere anche sotto questo aspetto. Quasi tutta la “mercanzia” infatti viene mostrata nei primi due livelli. Da lì in poi ci saranno pochissimi nemici nuovi, oltretutto poco ispirati e privi di meccaniche di spicco. Alla pari dei loro “colleghi”.

Se il nemico è piccolo si spara alla testa, se è grosso un po’ ovunque. Anche per i boss le cose non saranno per nulla dissimili. Tutti sono accomunati da una costante alternanza fatta di mediocrità, inconsistenza e, non di rado, una facilità imbarazzante nello sconfiggerli. Alzare il livello di difficoltà si ripercuoterà solamente sul quantitativo di nemici a schermo, senza alcun vero miglioramento in termini di IA.

A flagellare l’esperienza non potevano mancare, infine, bug e glitch in quantità. Nella nostra avventura (durata approssimativamente 5 ore, nella quale abbiamo completato il gioco due volte) ne sono stati riscontrati diversi. Sia di poco conto, come nemici immortali o fenomeni di clipping, sia abbastanza seri. Come spawnpoint nel vuoto siderale e replay forzati di livelli interi. Cose che speriamo possano essere sistemate con future patch.

Il tocco personale di Dirigo Games si nota maggiormente a livello artistico. Lo stile disegnato a mano e volutamente in bianco e nero (con scorci curati e notevoli architetture low-poly) sarà probabilmente l’unico motivo valido per dare una chance al titolo. La colonna sonora, infine, pur non riuscendo a brillare svolge comunque un lavoro dignitoso.

DA EVITARE

La buona volontà c’era, ma purtroppo Kingdom of the Dead non riesce a imporsi con la dovuta fermezza. Il titolo di Dirigo Games è palesemente incompleto e poco curato su molti fronti. Il suo essere tecnicamente problematico e ludicamente approssimativo si evince ancor di più a causa della longevità risicata a monte. La buona colonna sonora e l’accattivante stile artistico purtroppo non riescono a controbilanciare una sorprendente e spiacevole debacle.

Pregi

Stile grafico peculiare. Finisce presto (per fortuna).

Difetti

Noioso e poco ispirato. Ludicamente mediocre. Bug che incidono pesantemente sulla fruibilità generale.

Voto

4