Resident Evil Village, Recensione PS5
Il ponte tra passato e futuro
Ethan Winters ci prende per mano e ci accompagna in Resident Evil Village, il titolo della nostra recensione per console PS5. Capcom spegne le 25 candeline della saga e invece di farsi il regalo, lo fa a noi. Una ricorrenza importante per la saga ideata da Shinji Mikami nel lontano 1996. Il titolo, disponibile per le nuove PS5 e Xbox Series X, le old-gen PS4 e Xbox One, e infine su Stadia e Pc, ripropone alcune dinamiche già viste in Resident Evil 7 Biohazard.
Anche il cast è stato confermato, con il ritorno dei coniugi Winters, divenuti genitori della piccola Rose e l’inossidabile Chris Redfield. La storia ruota attorno al rapimento della loro figlia, che costringe il buon Ethan a riscendere in campo. La nuova generazione di console aiuta molto per rendere al meglio il concetto di survival horror. Si passa da una casetta sulle paludi del Bayou a un villaggio con 4 residenze tutte da esplorare. I dettagli si “sprecano”, e lasciano trasparire un’attenzione maniacale messa in campo dagli sviluppatori nipponici.
Metteteci, poi, il potenziale delle console di nuova generazione, con il 4K, i 60 fps e il ray tracing e il fattore immersione è assicurato. Se pensate, però, che non ci siano altri cambiamenti importanti vi sbagliate di grosso. Resident Evil Village rappresenta il giusto punto di arrivo di una saga che ha all’attivo più di una ventina di titoli tra serie regolare e spin-off.
Il punto è stato messo, così come tutte le novità che potrebbero modificare il concetto classico di survival horror per come lo abbiamo sempre conosciuto. Capcom non ne aveva fatto mistero. Già in occasione della sua presentazione si era stato capito che Village sarebbe stato un gioco diverso dai suoi predecessori. Diverso è un termine che spaventa i molti puristi della saga, compresi noi. Non è stato facile vincere tutte – ma proprio tutte – le nostre paure, ma dopo circa 10 ore di gioco possiamo dire di avercela fatta. Il racconto della nostra esperienza con Resident Evil Village, come sempre, lo lasciamo alla nostra recensione per console PS5.
IL SURVIVAL HORROR 2.0
Iniziamo questa recensione di Resident Evil Village, dando uno sguardo alle meccaniche di gameplay. Queste sono strettamente collegate al genere, il survival horror, e come tali seguono i canoni dettati dalla tipologia di gioco. Nulla di trascendentale, visto che sono cose che conosciamo piuttosto bene. Luoghi angusti e claustrofobici, illuminati da flebili luci di candele, costante sensazione di “essere braccati”, level design con piante labirintiche e un continuo accesso alle nostre capacità di memoria.
In questo ottavo capitolo, però, ci sono alcuni graditi ritorni. Vengono riproposti i “classici” enigmi alla Resident Evil. Quelli che fanno andare fuori di testa, costringendo a girare in lungo e in largo (schivando gli artigli di Lady Dimitrescu, ndr). Rispetto alla location di Biohazard, le dimensioni sono cambiate per cui dobbiamo essere sempre presenti a noi stessi e ricordare situazioni e posizioni.
Finire nel loop del disorientamento è molto facile, anche se la mappa di gioco fornisce sempre la posizione e la destinazione da raggiungere. Certo, però, che passare da una catapecchia a un villaggio e 4 castelli da esplorare è un bel salto di qualità. Resident Evil Village, rispetto tutti i suoi predecessori, introduce il concetto di mini-boss. I 4 figli di Madre Miranda, il boss finale del gioco, vivono in 4 micromondi differenti. Con ritmi di gameplay, nemici e ambientazioni diametralmente opposti tra loro. Un po’ come se fossero 4 giochi in uno. Si passa dal survival horror classico sino ad arrivare a quello psicologico, con dei momenti in tipico stile FPS.
Il villaggio funge da hub con la presenza del mercante per acquistare armi, potenziamenti, medikit, munizioni e progetti. Per “fare i soldi” dovrete raccogliere i collezionabili presenti nel gioco, con particolare attenzione ai cd. segreti. Anche i nemici stessi che sconfiggerete vi lasceranno un piccolo souvenir prima di diventare cenere.
UN MONDO FATTO DI DETTAGLI
La grandezza di un titolo è data dalla somma di numerosi aspetti, alcuni dei quali, il più delle volte, non rilevano nulla di trascendentale. Stiamo parlando dei famosi dettagli di contesto, quelli che non si vedono ma che fanno la differenza in termini di immersione. La saga di Resident Evil, su questi, ci ha costruito il suo successo. Dai fondali pre-renderizzati e fotografici sino ad arrivare a quelli di ultima generazione, non si è mai perso quella passione per i dettagli.
Il fattore immersione si concrettizza partendo da questo aspetto. Il cambio di prospettiva, poi, è stato il colpo di grazia (in senso positivo, sia ben chiaro, ndr). Passando dalla classica terza persona, ad un’inedita prima persona, la fruizione del mondo di gioco è cambiata, e con essa anche il nostro modo di vedere le cose. Il passaggio da regista a protagonista è stato un bel salto.
Capcom ha dovuto rivedere il concetto stesso di survival horror, puntando su dove già si sentiva forte. I dettagli, appunto. La location degli eventi del settimo capitolo, Baker’s House, non regge il confronto con il castello di Alcina Dimitrescu. Possiamo considerarla solo una piccola portata di un antipasto, giusto per rendere l’idea. La sfarzosa residenza dell’altissima Signora di casa è una goduria visiva oltre che immersiva.
La presenza della photo-mode in Resident Evil Village, è utile per andare a cogliere il meglio dei dettagli presenti in gioco. Tralasciando l’effetto nostalgia generato da questa ambientazione, visti i cercati e voluti paragoni con Spencer’s Mansion, le circa 3 ore utili per sfuggire dalle grinfie di Lady Dimitrescu, sono, senza ombra di dubbio, le più belle. Le restanti 7, anche se ci provano, riescono solo a lambire l’esperienza iniziale di gioco.
IL NUOVO RESIDENT EVIL
Resident Evil Village ha costruito le basi per “quello che verrà”. Lo ha fatto con il suo stile, con quello di Capcom, senza lasciare spazio alle libere interpretazioni. Il finale è chiaro, senza se e senza ma. Addirittura lo scrivono a caratteri cubitali, giusto se qualcuno, nel mentre, si fa una penichella. La cosa certa è che questo non sarà l’ultimo capitolo della saga, e il filone narrativo iniziato con il Resident Evil 7 Biohazard proseguirà ancora. Le cose che funzionano, giustamente, vanno avanti.
Probabilmente ci sarà uno scisma, che vedrà contrapposti i puristi e i gli innovativi. Che la saga aveva bisogno di una scossa si era capito, anche se questo è un terremoto di proporzioni bibliche. Gli sviluppatori hanno concentrato i 25 anni di storia della saga in circa 3 ore di gioco. I momenti iniziali di questo ottavo capitolo viaggiano su livelli adrenalinici importanti. Dal villaggio al castello il povero Ethan non si ferma un attimo, braccato da ogni sorta di bestia demoniaca. Non fa nemmeno in tempo a capire dove si trova che si risveglia seduto alla tavola di Lady Dimitrescu, dove egli è la portata principale.
Passata questa prima parte, quello a cui si assiste è un qualcosa di assolutamente inedito. Un FPS puro, dove contano solo munizioni e mira. Una versione di Call of Duty intitolata “Monster Edition”, dove gli unici esseri umani siamo noi. Il mercante è sempre li pronto a potenziare le nostre armi, con potenziamenti in cambio di denaro. Questi saranno fondamentali anche per prepararci a Mercenary, la modalità sudden death che si sblocca a gioco concluso. Vedetela come una naturale prosecuzione del gioco, con degli elementi tipicamente arcade.
Al termine delle 10 ore di gioco – utili per arrivare al finale – dovreste avere ben chiaro se quello che avete visto fa e farà al caso vostro. Capcom non si è risparmiata, realizzando un recap di 25 anni di esperienza. Lo ha fatto utilizzando il massimo del rispetto, verso di noi e verso il concetto “classico” di survival horror. Ma ha voluto mettere un punto ed è andata a capo. Prendere o lasciare?! La scelta, adesso, spetta a noi.
COMMENTO FINALE
Ancora una volta Capcom ci lascia a bocca aperta, facendoci stringere qualcos’altro dalla paura. In questa recensione PS5 di Resident Evil Village, abbiamo, però, voluto immortalare una sorta di passaggio di testimone per il genere. La formula FPP, già vista nel settimo capitolo, devia verso quella degli FPS. Una precisa volontà questa che lascia intendere, senza mezze parole, il futuro di questa saga.
Se siete bravi e attenti, in 10 ore fatte bene spedite al creatore Madre Miranda e il suo esercito demoniaco. Il finale è quello che non ti aspetti, anche se non c’è spazio per le cose non dette (ma alla fine il Mercante chi è?!, ndr). Torna il survival horror vecchio stile con una serie di enigmi “bastardi” che richiedono spirito di osservazione e una buona memoria. Il gameplay, a livello generale, è identico a quello di Biohazard, amplificato, però, dalla presenza di tutte le feature di nuova generazione.
Impressionano due cose in particolare: la dimensione della mappa e il livello di dettaglio. Il loro livello non ha eguali se lo confrontiamo con altri capitoli della serie. Il fattore immersione ringrazia, anche se, a volte, il muro della quarta parete non sempre cade. L’altalena FPP/FPS, in alcuni momenti, è piuttosto evidente. Se piace o meno, è indifferente, visto che si deve accettare il nuovo corso della saga. L’ultima parola spetta a voi.
Pregi
Non manca nulla di Resident Evil. In circa 10 ore ci scorre davanti il meglio del survival horror "vecchio stile" e i nostalgici della saga ringrazieranno. Il livello di di dettaglio è di primissimo livello, e le potenzialità delle console di nuove generazione si vedono e si sentono. Il gameplay eredita molto dal settimo capitolo...
Difetti
... anche se l'altalena FPP/FPS, a volte, interrompe la magia del momento. Le prime 3 ore di gioco sono senza fiato, mentre il resto non ha ancora una forma ben definita. Il nuovo spaventa e incuriosisce, ma il vestito del "survival horror" comincia a stare stretto.
Voto
9