Chronicle of Innsmouth: Mountains of Madness è stato apprezzato dagli amanti delle avventure grafiche punta e clicca grazie soprattutto ad un’atmosfera veramente profonda che rimanda ai classici del passato. Abbiamo visto in questo titolo sviluppato dal microteam indie Psychodev tanti tratti distintivi che hanno rievocato a tratti Indiana Jones and the Fate of Atlantis ad esempio. Abbiamo, quindi, parlato con Umberto Parisi, autore di Mountains of Madness per un’intervista tentando di scavare in profondità e conoscere ancor meglio cosa ci sia dietro alla realizzazione del titolo che abbiamo apprezzato molto quando abbiamo recensito.
Sarà per la pixel-art – che nel gioco ha fatto veri e propri passi da gigante rispetto al primo episodio – sarà per alcuni enigmi ben strutturati, o anche per la storia, ovviamente lugubre e dai tratti molto dark, ma il titolo ci ha colpiti al punto che abbiamo voluto saperne di più.
Con l’autore abbiamo parlato dei retroscena che hanno portato alla realizzazione del gioco nato da una campagna Kickstarter riuscita. Il suo sviluppo, come molte produzioni indipendenti, è stato condizionato da molti fattori e tra questi – non ultimo – anche il Covid19 che ha rallentato i lavori di Chronicle of Innsmouth: Mountains of Madness.
Abbiamo fatto tante domande e le risposte sono state davvero interessanti. A partire dalla prima risposta. Vi lasciamo quindi all’intervista ad Umberto Parisi, autore di Mountains of Madness, buona lettura.
Dopo anni di lavoro, finalmente Chronicle of Innsmouth: Mountains of Madness è uscito, un tuo commento anche per presentare il gioco al pubblico.
“Sì finalmente ce l’abbiamo fatta, Chronicle of Innsmouth Mountains of Madness è un’avventura grafica in pixel art di stampo molto classico che trae ispirazione dagli scritti del maestro dell’horror H.P.Lovecraft ed è il secondo capitolo di una saga che, spero, si arricchirà con altri titoli che ne proseguiranno la storia”.
Quindi ci sarà un terzo capitolo della serie o penserai ad un altro genere?
“Ci sono in cantiere giochi d’altro genere ed altre avventure grafiche, restate sintonizzati. Magari, non proprio a brevissimo, ci sarà qualche novità”.
Lo sviluppo è stato lungo e c’è stata l’aggravante della pandemia che ancora oggi è un vero problema. Quanto ha influito sui tuoi piani?
“Parecchio, anche perché uno dei componenti del nostro team è di Codogno, l’epicentro della prima ondata, e la cosa ci ha rallentato in un momento cruciale dello sviluppo. In più anche gestire le famiglie e i bambini senza la scuola non è stato facilissimo. In ultimo, anche il doppiaggio inglese è stato condizionato, dovendo lavorare solamente con attori in home-studio. Alla fine il risultato è stato buono, ma sicuramente si sono persi dei mesi”.
Rispetto al primo capitolo, Mountains of Madness ha meno momenti scanzonati e ci è sembrato più maturo. Cosa dici a tal proposito?
“Anche se la nostra mission è quella comunque di coniugare i temi orrorifici di H.P. Lovecraft con le atmosfere più rilassate delle classiche avventure grafiche LucasArts, indubbiamente Mountains of Madness vira più su temi thriller/horror rispetto al primo Chronicle of Innsmouth. Ciò nonostante, non mancheranno momenti leggeri che possano strappare una risata, perché una certa vena comedy è insita nella natura dei nostri giochi”.
Anche dal punto di vista tecnico abbiamo notato tanti miglioramenti rispetto al passato soprattutto dal punto di vista grafico. Che tipo di sfida è stata?
“Con l’aggiunta nel team di un grafico bravo come Andrea Ferrara, ci è venuto piuttosto naturale abbandonare la risoluzione del primo gioco (320X200) per passare alla 640X300 di questo sequel: più che ricordare “Monkey Island” abbiamo voluto rievocare le atmosfere delle avventure anni ’90, come Broken Sword. Il passaggio ha giovato all’impatto del gioco, con una pixel-art a nostro avviso molto più efficace. Anche i motion-comics (le scene a fumetto animate realizzate da Vincenzo Lamolinara e Gianpaolo Greco) hanno aiutato a farci fare un passo in avanti soprattutto in termini di immersività e coinvolgimento del giocatore nelle scene più importanti”.
Anche tu, immagino, sia cresciuto dal punto di vista professionale. Raccontaci il tuo percorso.
“Io ho iniziato praticamente da zero nel 2014 e, ad oggi, posso dire di avere il knowhow per portare a termine un progetto commerciale in ambito videoludico, quindi sì, posso dire che mi sento davvero cresciuto da quel punto di vista, ora speriamo con MoM di crescere anche su altri versanti in modo che non vada tutto sprecato”. (Ride).
Abbiamo notato diverse citazioni ai classici ed anche durante le nostre prove ne siamo stati testimoni. Qual è la tua preferita?
“Ce ne sono tante, su tutte il primo monkey island di sicuro. Diciamo che il titolo più citazionista è il primo.In MoM, se è successo, la maggior parte delle volte sarà stato involontario”.
A quale personaggio dei videogiochi paragoneresti Lone Carter?
“A nessuno in particolare, è il classico investigatore scapestrato, un po’ rozzo ma con una buona intelligenza ed un grande cuore. Nasce così, con la volontà di essere un po’ noir sia nell’aspetto che nei modi di fare. In effetti anche nei videogiochi ne troviamo tanti ma, soprattutto, se devo pensarci mi fa venire in mente un personaggio letterario o del cinema”.
Parlaci degli enigmi, è sempre una sfida per l’autore e per il giocatore escogitarne di nuovi. Senza fare spoiler, quale ti è piaciuto di più?
“Ci sono molti enigmi interessanti a mio avviso, l’ultimo enigma del gioco, però, mi ha sempre dato davvero una buona impressione in quanto sono i dettagli a indicarti la soluzione, pensiero laterale ed attenzione, altrimenti non vai sulla stessa lunghezza d’onda e non lo risolvi”.
A chi si rivolge Mountains of Madness?
“A tutti gli appassionati di H.P. Lovecraft, principalmente: abbiamo inserito tantissimi riferimenti alla lore del maestro, che sicuramente non sfuggiranno ai fan. Poi, a tutti coloro che masticano punta e clicca e i nostalgici degli anni ’90: il nostro gioco in pixel-art è un vero e proprio omaggio ai classici del passato, che vengono rielaborati in MOM in chiave moderna. Infine, è un gioco ideale per chi apprezza un buon thriller: di base Lone è un detective ed è chiamato a indagare su un caso di matrice sovrannaturale, quindi chi cerca una bella storia sarà accontentato!”.
Siamo curiosi di sapere da te, un tuo pensiero sulle avventure punta e clicca. Secondo te possono tornare in auge come negli anni ’80 e ’90?
“Le avventure punta e clicca sono già tornate alla ribalta, in realtà: andate a vedere quante centinaia di giochi sono usciti quest’anno, alcuni davvero notevoli in termini di qualità! Il problema è che l’attenzione del mercato si è spostata verso un altro tipo di prodotto e anche la stampa e le pubblicazioni maggiori tendono a snobbare il nostro genere. Ma, ripeto, le punte ci sono e questi giochi hanno la loro dignità commerciale, con una nicchia di appassionati davvero fedele”.
In Italia, pian piano sta crescendo il movimento dello sviluppo e della produzione di videogiochi. Quale sarebbe, a tuo avviso, la spinta decisiva per far si che il Made in Italy possa imporsi maggiormente all’estero?
“L’industry italiana si sta lentamente (molto lentamente) sviluppando, grazie soprattutto al contributo di IIDEA che è in prima fila per cercare di dare un impulso a un mercato che, dal punto di vista della produzione, è abbastanza indietro. Il First Playable Fund è sicuramente un primo passo nella giusta direzione, sperando che il governo si decida a investire su un settore estremamente importante come il nostro e a realizzare quelle misure che potrebbero consentire anche ai big player del settore di mettere capitali nel nostro paese. Perché, in quanto a qualità e creatività, non siamo di certo inferiori a nessuno!”.
Sei riuscito a realizzare tutti i contenuti del progetto originale?
“Assolutamente sì, anzi abbiamo anche aggiunto cose non previste come i motion comics che arricchiscono non poco, secondo me, l’immersione”.
Il gioco arriverà anche su altre piattaforme oltre che su Switch e piattaforme mobile?
“Il nostro obiettivo è uscire su più piattaforme/console possibili, quindi la speranza ovviamente c’è: realizzarla ovviamente è un altro paio di maniche e dipende più che altro dalle vendite che riusciremo a ottenere sulle piattaforme già confermate”.
Sarebbe fantastico l’introduzione di un doppiaggio in italiano. Ci sono speranze?
“Purtroppo devo darti una risposta secca: no. Al momento, nessun gioco indie con un certo numero di parole (MOM ne contiene più di 30.000!) può permettersi un doppiaggio aggiuntivo oltre a quello inglese; in Italia, poi, manca semplicemente il mercato sufficiente per rientrare di un costo tanto ingente. Alla fine della fiera, abbiamo la necessità di far quadrare i conti, quindi ci orienteremo verso qualche localizzazione testuale in più. E dire che ci piacerebbe tanto farlo! Magari potremmo organizzare una raccolta fondi solo per il doppiaggio, se dovessimo notare interesse da parte del pubblico”.
Umberto Parisi, concludiamo l’intervista su Mountains of Madness col ringraziarti per il tempo che ci hai dedicato.
“Grazie mille per l’intervista e a presto”.