Tutti noi siamo spesso vittime di preconcetti, talvolta subendoli perché gli altri ci valutano sulla base di idee generalizzate che non hanno un riscontro oggettivo. Altre perché siamo invece noi che tendiamo, in via semplicistica, a considerare fatti, oggetti e persone sulla base di pregiudizi che non sono frutto di effettive esperienze, quanto di una certa superficialità nel valutare le cose.
Chi scrive, naturalmente, non è immune a questa dinamica e uno dei preconcetti che aveva a proposito di Assassin’s Creed Valhalla era che fosse troppo diverso dai suoi predecessori. E che il suo esordio su Xbox Series X servisse a dare il là all’inizio su una nuova piattaforma, a una serie dalla formula ormai totalmente modificata.
La serie Assassin’s Creed, targata Ubisoft, ha infatti ripreso terreno negli ultimi anni, dopo un periodo di alti e bassi, avvicinandosi come meccaniche alle produzioni avventurose a mondo aperto, perdendo pian piano quelli che erano alcuni dei suoi tratti caratterizzanti.
Ma questo non ha significato snaturare se stessi e uniformarsi a un mercato dove spesso se non ti adegui, muori. Semplicemente, la serie si è adattata, un piede qua nel presente e uno là nel passato, riuscendo a trovare nuova linfa.
Ma il mio timore, a parte la nuova ambientazione annuale, in questo caso “vichinga”, era che l’opera si distaccasse definitivamente dal resto del franchise e tentasse nuove strade. Il che, ovviamente, non è detto che sarebbe stato necessariamente un male. Solo che non amo certe tendenze a stravolgere intere saghe in nome di presunte innovazioni che non sempre fanno bene. Per fortuna, con piacevole stupore, l’ultimo capitolo del brand Ubisoft mi ha smentito, e pur risultando a suo modo originale, è riuscito a restare legato al marchio, nonostante per certi versi… stilisticamente non sembri più un vero Assassin’s Creed, nell’accezione stessa del termine che ne identifica determinati canoni distintivi.
È il Nono secolo d.C. Le guerre e le carestie che assediano la Norvegia spingono Eivor, un guerriero vichingo, a guidare il suo clan di norreni attraverso il gelido Mare del Nord per raggiungere le prosperose terre dei frammentati regni d’Inghilterra. La loro missione è trovare un nuovo luogo da chiamare casa, qualsiasi sia il prezzo da pagare.
Da questo incipt parte una lunga avventura che condurrà il giocatore, nei panni di un Eivor maschile o femminile a seconda della scelta effettuata sia inizialmente che ad avventura in corso, attraverso un’antica Bretannia ricostruita magistralmente all’interno di un open world davvero immenso, pieno zeppo di locazioni, personaggi con cui interagire e cose da scoprire, esaltato dalla potenza hardware di Xbox Series X, dalla risoluzione 4K e da una definizione nitidissima.
Le nuove battaglie corali, gli assedi e le spedizioni, che dopo qualche ora diventano un tantino ripetitive, si alternano alle tradizionali missioni primarie e secondarie del precedente Odyssey, rivelando quella cifra stilistica a cavallo tra vecchio e nuovo di cui scrivevamo prima, e che vede semmai un vero distacco nei combattimenti e nello sviluppo del personaggio.
Gli scontri in Assassin’s Creed Valhalla sono infatti più equilibrati, complice la possibilità di equipaggiare due armi e utilizzare singolarmente ogni mano, e l’enfasi posta sui set di armature da indossare. Ciascuno adesso ha un peso ben specifico nell’economia di uno scontro. Determinante di pari passo la crescita individuale di Eivor, la cui progressione è ben calibrata e va a inficiare a sua volta su un sistema di combattimento senza fronzoli e profondo come non mai.
Credeteci sulla parola, a dispetto di tutto ciò, Valhalla non è una di quelle produzioni omologate, perché riesce comunque a trovare quell’equilibrio tra vecchio e nuovo che le dona un’identità a suo modo unica, così uguale ma anche così diversa da prodotti analoghi. E soprattutto riesce a mantenere vivo il cordone ombelicale che lo lega alle origini del franchise senza ritornare indietro.