Esistono diversi modi per raccontare l’oscurità: con suoni lugubri o tristi, con immagini tetre o desolanti, con storie buie o raccapriccianti. La grandezza dei videogiochi giace proprio nel fatto che, in un sol colpo, si possano raccontare storie con suoni e immagini, al contempo facendo compiere un passo ulteriore verso l’abbattimento della “quarta parete” grazie all’interattività. Un videogioco ci fa vedere, ci fa sentire, ci racconta ma solo quando decidiamo noi d’esser “pronti”. Inmost è un titolo spettrale e cupo. Uscita originariamente come titolo mobile su Apple Arcade, la creatura del team indie lituano Hidden Layer Games edita da Chucklefish, è sbarcata anche su Pc e Switch. Noi parleremo della versione per la console ibrida di Nintendo. Vi auguriamo una buona lettura.
IL BUIO, ALL’INTERNO
Inmost è un gioco di piattaforme, incentrato principalmente sull’esplorazione di un universo spettrale e affascinante, ma anche sulla risoluzione di enigmi e il combattimento. Nel gioco, seguiremo le vicende di tre diversi protagonisti che, condividendo un unico mondo da incubo, si troveranno loro malgrado ad attraversarlo in un modo personale e unico. Il giocatore interpreterà il ruolo di un uomo avanti con gli anni, un bambino e un cavaliere che si “scambieranno di posto” durante il corso dell’avventura.
È bene sottolinearlo sin dai primissimi istanti: Inmost è un piccolo gioiello a livello di atmosfera e design artistico. Caratteristiche che si sposano coerentemente con le “assurde” vicende che troveremo nostro malgrado a dipanare. Il lugubre e tetro mondo che farà da sfondo, ma che al contempo sarà anche il vero protagonista del gioco, accompagnerà i tra “sfortunati” eroi attraverso storie, luoghi e momenti che combattono sul limitare della follia e dell’assurdo.
Come detto, Inmost obbedisce ai dettami del genere platform, seppur sembri pescare da una formula più vicina alle soluzioni old school adottate dal settore. Oltre, ovviamente, a saltellare di piattaforma in piattaforma, o arrampicarsi su delle superfici verticali, il gameplay di Inmost sarà colmo di enigmi e puzzle “fisici” di cui l’intero universo di gioco sarà completamente strutturato. In aggiunta, come detto, ci sarà anche una massiccia componente esplorativa immersa nel complessivo gameplay. Il giocatore, infatti, dovrà esplorare l’ambiente circostante alla ricerca di elementi “trigger” con cui interagire per poter proseguire innanzi.
Un ruolo fondamentale lo reciteranno anche i (non tantissimi) Npc sparsi nel gioco, tutti caratterizzati da un certo grado di follia nel proprio coerente ruolo di vessilli di un mondo frantumato e oscuro. Non solo essi, spesso, concederanno al giocatore lembi di indizio al fine di superare l’ennesimo scoglio, ma reciteranno anche il ruolo di “bardi silenti”, raccontando spaccati che ci aiuteranno a ben inquadrare il complessivo mondo che calpesteremo.
IL VIAGGIO
Come accennato, il gameplay di Inmost si muoverà sostanzialmente nei classici crismi dei giochi di piattaforma. Tra un salto e una arrampicata, ci troveremmo innanzi delle “barriere” che potranno esser sormontate risolvendo alcuni puzzle incentrati sulla fisica e spesso sull’esplorazione. Parlando dei puzzle, in linea di massima saranno tutti più che abbordabili e mai frustranti. Seppur ci sarà verso la fine del gioco un incremento della loro complessità.
Una soluzione che, com’è evidente, rende l’esperienza più votata alla contemplazione e alla metabolizzazione del tetro universo in cui muoveremo i nostri passi. In linea di massima, la risoluzione dei puzzle richiederà l’utilizzo dell’ambiente nel suo complessivo o, in alternativa, lo scovare elementi fondamentali all’interno di esso. Il tutto, naturalmente, “bagnato” nella surrealtà che è la logica di fondo di Inmost: spesso risolveremo “razionalmente” enigmi basati sull’impossibile.
Un altro elemento da tenere in considerazione, in relazione al complessivo gameplay, è anche la sua “adattività”. Infatti, a seconda del personaggi che utilizzeremo, l’andazzo meccanico del gioco cambierà in modo visibile.
Ad esempio, quando utilizzeremo il bambino, il gioco si aprirà come un libro e ci racconterà le sue storie. Utilizzando il cavaliere, invece, il gameplay diverrà più crudo e incentrato sulla forza e la “violenza”. Servirà proprio questa caratteristica al nostro eroe che dovrà scacciare alcune tetre creature che popolano l’universo di gioco.
In questo senso, nonostante presenti, i combattimenti non saranno particolarmente elaborati e si limiteranno alla semplice pressione di pochissimi tasti, contro nemici che, in definitiva, non ci daranno mai particolare filo da torcere.
Unico neo di peso di una produzione divertente, equilibrata e artisticamente pregevole, è la sua durata. Inmost, infatti, potrà esser completato, senza grosse difficoltà, in circa 5 ore di gioco. E data la natura spiccatamente narrativa del titolo (tradotta brutalmente, sui “binari”), la longevità non sarà naturalmente delle migliori.
UN DIPINTO NERO
Ribadiamo il fatto che esteticamente e graficamente, Inmost sia un piccolo gioiello di art design e realizzazione. Lo stile artistico pixelato ben si sposa con la disperazione che permea non solo le vicende, l’ambiente e la tavolozza cromatica prescelta ma anche e, soprattutto, l’atmosfera che sprigiona il titolo.
Un plauso, coerente, va fatto al sapiente uso degli effetti grafici (in modo particolare le luci) che andranno appunto ad “appesantire” un’atmosfera già carica di buio che, addirittura, in alcuni punti sfioreranno il terrore da “what lies ahead?” tipico dei titoli di stampo horror.
Ad una pulizia computazionale pressoché perfetta, si aggiunge anche una soundtrack “terribile”, nel suo essere curata e coerente con l’avventura. In linea di massima, le tracce saranno tutte di stampo ambient ed atmosferico, che andranno ad ispessire la sensazione di “vuoto” e follia che dominano incontrastate.
COMMENTO FINALE
Inmost è un gioco di piattaforme e non lo é: “ridurlo” alla merca meccanica che rappresenta al giocatore, fatta di salti, arrampicate e puzzle da risolvere. Sarebbe estremamente riduttivo per un titolo che è, innanzitutto, un’esperienza onirica nella sua cupa andatura.
Una produzione meccanicamente e artisticamente valida che, però, paga un po’ lo scotto dei titoli incentrati pesantemente sulla narrativa. La longevità è (molto) relativa. Consigliato, specialmente se volete immergervi in un’avventura densa ma non troppo dispersiva.