Sono trascorsi quasi nove mesi dall’uscita di Death Stranding su PS4. Un titolo concepito inizialmente come esclusiva per la console Sony, ma del quale venne poi annunciata la versione Pc il giorno stesso della release, avvenuta lo scorso 8 novembre. Quando nessuno poteva ancora immaginare come si sarebbe evoluta la situazione qualche mese dopo, in Italia e nel mondo, a causa del COVID-19. Ciò che nonostante tutto fa sorridere è l’aura profetica che ha pervaso la nuova opera di Hideo Kojima.
Che mette al centro proprio la necessità di (ri)connettere luoghi e persone in un territorio frammentato, dove gli uni sono isolati dagli altri tanto a livello fisico quanto spirituale. Niente virus o quarantene imposte dall’alto, ma una scenario apocalittico che coinvolge anche il soprannaturale. Questo è il mondo di Death Stranding, uno dei titoli più chiaccherati di questa generazione, ormai prossima a lasciare il testimone a quella successiva. Un titolo che costituisce nondimeno il primo lavoro di Kojima dopo la scissione da Konami, avvenuta nel 2015.
Spaccature e connessioni
Lo stesso anno di nascita di Kojima Productions, lo studio indipendente capitanato proprio dal celebre game designer giapponese, autore della storica saga di Metal Gear. Una delle principali personalità all’interno dello sviluppo di videogiochi mondiale, che negli anni ha tenuto una notevole dose di riserbo circa i lavori in corso su Death Stranding. Un videogioco fortemente autoriale e di difficile classificazione, che già su PS4 aveva causato una non trascurabile spaccatura nell’utenza. Principalmente tra coloro che ne hanno subito riconosciuto le peculiarità e il valore intrinseco e quelli che viceversa lo hanno bollato come un dozzinale “simulatore di consegne”.
Ed ecco che meno di due settimane fa è approdato su computer, con 505 Games che ne ha curato la distribuzione via Steam ed Epic Games Store. Tra le braccia di un’utenza certamente più abituata ai simulatori, al ripetersi meccanico di azioni in-game e alla prevalenza di note realistiche e riflessive a danno di quelle “adrenaliniche”. Fermo restando che Death Stranding è ben più di questo, e lo scopriremo proprio in questa recensione della versione Pc. Vi auguriamo una piacevole lettura.
UN MONDO IN GINOCCHIO
Death Stranding. Il nome del gioco, ma anche quello del fenomeno a tinte soprannaturali che ha colpito gli ex Stati Uniti d’America, ora conosciuti come UCA (United Cities of America). Sulla Terra infatti si sono abbattute le C.A (Creature Arenate), anime tormentate provenienti dalla Spiaggia. Una sorta di dimensione parallela che funge da collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Esse sono causa di morte e distruzione per due ordini di motivi. Il primo riguarda il fatto che nel momento in cui un morto riesce a ricongiungersi con la sua anima (in forma di C.A), si verifica un’esplosione. Dopo che diverse città sono state annientate in questo modo, gli umani hanno cominciato a bruciare i cadaveri dei loro morti, per impedire tale ricongiunzione.
Il secondo ha viceversa a che fare con un altro fenomeno che ora si abbatte con regolarità sulla Terra, e del quale le C.A sono responsabili: la Cronopioggia. Una particolare precipitazione atmosferica che accelera il trascorrere del tempo su tutto ciò che riesce a toccare. Le piante crescono molto più velocemente, mentre persone e oggetti invecchiano/si deteriorano a ritmo esponenziale. Lo scenario post-apocalittico che ci viene presentato nel gioco ha origine proprio dall’azione corale di queste due piaghe. I paesaggi americani ricordano ora quelli dell’Islanda. Distese di terre brulle e aride, lande desolate ricoperte di rocce e attraversate da fiumi, poche foreste e cespugli.
LA MISSIONE DI (ZIO) SAM
L’attuale Nordamerica è ormai frammentato nello sparuto e frammentario gruppo di rifugi e località superstiti, situati in colonie denominate Nodi (Knot Cities). Nessuno osa quasi più avventurarsi all’esterno, costantemente minacciato dalla Cronopioggia e dalla presenza delle ostili C.A. Nessuno tranne i corrieri, che si occupano di trasportare fisicamente beni di prima necessità e in generale merci e materiali tra i vari committenti.
In Death Stranding vestiremo i panni di uno di loro, Sam Porter Bridges. Un individuo schivo e taciturno, oltre che aptofobico. Evita infatti ogni contatto fisico (e soprattutto empatico) con le altre persone, fino a quando non gli viene affidato un incarico. Bridget Strand, sua madre e ultimo presidente d’America, gli chiede sul letto di morte di portare avanti il piano Bridges I, intrapreso ma mai concluso dalla sorella di Sam, Amelie.
Esso prevede di attraversare l’intero continente, verso ovest, facendo in modo di far annettere tutte le località di sopravvissuti alle UCA. A questo scopo dovremo far uso di un congegno, il Q-Pid, e collegare il terminale di ogni rifugio o città alla Rete Chirale. Un rivoluzionario sistema di collegamento che permette istantaneamente alle persone di comunicare, condividere dati e informazioni ecc.
Nell’adempimento del piano Amelie venne però catturata da Higgs, un losco individuo a capo di Homo Demens, un gruppo terroristico che si batte per l’indipendenza della città posta sull’estremo versante occidentale del paese, Edge Knot City. Ed è proprio lì che è tenuta in ostaggio, anche se riesce comunque a comunicare in forma di ologramma con Sam e con ciò che resta dello “stato maggiore” americano.
DESTINO MANIFESTO POST LITTERAM
Con il supporto del team della Bridges e di un’altra compagnia, la Fragile Express, inizierà così il nostro viaggio attraverso ciò che resta degli Stati Uniti continentali. Con tante consegne da effettuare nell’atto di (ri)connettere località e persone, attraversando terre di nessuno comunque non esenti da pericoli. Ambientali, come la Cronopioggia. Ma anche flagellati dalle C.A; senza dimenticare i terroristi.
Dagli Homo Demens fino ad arrivare ai Muli, bande di ex corrieri folli ormai assimilabili a dei banditi, impegnati ad attaccare e derubare gli altri corrieri di passaggio. Un percorso irto di pericoli, illuminato dalla necessità di salvare il genere umano dall’estinzione. Tra la consapevolezza generale che nessuno può sopravvivere da solo e il bisogno di una connessione “fisica” oltre che spirituale, nella forma dell’annessione alla Rete Chirale, e dunque alle UCA.
Una missione che ricorda non poco la storica teoria del Destino Manifesto, espressione coniata dal giornalista americano John L. O’Sullivan nel 1845. Essa rappresentava l’idea (che divenne sempre più comune) secondo la quale l’America era destinata a espandersi in maniera implacabile. Portando inevitabilmente con sé i propri concetti di libertà e democrazia, che avrebbero dovuto illuminare le terre e le genti dei territori attraversati, verso ovest.
In maniera non dissimile Sam ha l’incarico di illuminare il fuoco della speranza insito nei cuori delle persone, unendo tutti quanti sotto l’egida della Rete Chirale. Simbolo della civilità e della fratellanza, dove tutti i membri possono unirsi a un sodalizio senza frontiere che ha come scopo la sopravvivenza della razza umana. E così, sulle note della one-man band islandese Low Roar, inizieremo il cammino verso la salvezza dell’umanità, compresa quella di Sam.
LA DURA VITA DEL CORRIERE
Pur essendoci svariate sezioni di combattimento e altre stealth (con vaghe reminiscenze da Metal Gear), Death Stranding si snoda principalmente in cutscene e consegne. Le prime hanno a che fare con lo sviluppo della trama, dal netto e curatissimo taglio cinematografico in onore della nota passione di Kojima per la cinematografia. Le seconde sono invece direttamente collegate al fulcro del gioco, cioè quello di avvicinare le persone.
Persone delle quali dovremo spesso superare la diffidenza (a volte persino l’ostilità) verso gli estranei e le stesse UCA. Come? Caricandoci in spalla medicine, rifornimenti e materiali vari, portandoli alle varie destinazioni seguendo le istruzioni (e le condizioni) dei committenti. Una certa merce da consegnare entro un tempo limite. Un’altra che non dovrà superare una certa soglia di danni, e via discorrendo. Tutto questo facendo i conti con Sam, un corriere la cui fama si accrescerà sempre di più. Ma che resta comunque un essere umano.
Con i suoi punti di forza ma anche con le sue fragilità, soprattutto fisiche. Come la salute, il livello di affaticamento, il bisogno di espletare i bisogni fisici… Tutta una serie di condizioni che andranno monitorate, al fine di svolgere le consegne (e proseguire nella storia) al meglio delle sue capacità. Facendo il nostro lavoro non solo conquisteremo la fiducia delle persone come i Prepper (individui che vivono isolati, in dei bunker, da soli o con le loro famiglie), ma potremo far salire il nostro livello corriere.
Esso costituisce una sorta di biglietto da visita, dal quale potremo monitorare le nostre statistiche relative alle consegne e non solo. Inoltre strada facendo verremo ricompensati con tanti bonus utili. Da piccoli aumenti della capacità di carico a una maggiore resistenza fisica, fino ad arrivare a un maggiore interazione con il multiplayer asincrono di Death Stranding, che illustreremo più avanti.
LA GESTIONE DI SAM E DEL SUO CARICO
Anche se avremo la libertà di fermarci a riposare in qualunque momento lungo il tragitto, la cosa più opportuna da fare resta quella di pernottare presso le stanze private. Esse si trovano nelle città e nei centri logistici, e ci consentiranno di far rifiatare Sam. Che potrà farsi una doccia, espletare bisogni fisici, controllare il proprio equipaggiamento e alte funzioni che vengono sbloccate nel corso del gioco, come lo spostamento rapido tra le regioni collegate alla Rete Chirale.
Di fatto costituiscono l’hub principale in Death Stranding, da dove potremo nondimeno interfacciarci con un altro pallino di Kojima: la rottura della quarta parete. A secondo di come e di quanto lo osserveremo, o di ciò che potremo fargli fare (come le smorfie allo specchio sul lavandino), vedremo Sam guardare verso la telecamera, lanciando occhiate e spesso facendo gesti.
Sarà importante gestire Sam, ma soprattutto il suo carico. Facendo i conti sia del peso complessivo che della disposizione del medesimo. In Death Stranding il fattore simulativo è accentuato al massimo. Perciò non solo ci muoveremo più lentamente con l’aumento del peso, ma potremo anche finire con il perdere l’equilibrio. Le cadute infatti saranno tra le principali cause del danneggiamento del carico, assieme agli attacchi da parte di umani e C.A e alla Cronopioggia. Quest’ultima con il tempo abbasserà la soglia della resistenza delle casse.
Perciò in caso di urti e cadute esse subiranno più danni del normale. Mentre nel fare una salita o nel guadare un fiume la barra della resistenza si svuoterà molto più velocemente. Perciò anche (se non soprattutto) in quelle circostanze dovremo prestare attenzione e muoverci con calma e circospezione. Per fortuna però un corriere può contare ben più che sulle proprie membra. Nel corso del tempo potremo sbloccare e fabbricare un numero sempre maggiore di equipaggiamenti, con cui rendere più veloci ed efficaci le consegne, e non solo.
GLI ATTREZZI DEL MESTIERE
I primi equipaggiamenti su cui potremo contare consistono in scale e chiodi da arrampicata. Le prime saranno utili ad agevolare la traversata di un fiume o di un dirupo. Mentre con i secondi potremo calarci (e poi risalire, eventualmente) agevolmente da un’altezza di diversi metri. La progressione nella trama, oltre a farci appassionare alle vicende, regala anche un’evoluzione costante nei ferri del mestiere. Tra di essi molto importanti sono i CCP. Dei moduli con qui potremo erigere (a scelta) una serie di strutture utili in giro per la mappa.
Per esempio delle torri di guardia, da cui potremo gettare un’occhiata approfondita sui dintorni. Dei ponti per agevolare l’attraversamento di terreni difficili. O persino dei generatori, con cui poter ricaricare le batterie di esoscheletri e veicoli. Entrambi aiuti fondamentali nell’atto di trasportare velocemente carichi ben maggiori del limite iniziale di 120 kg. Una volta sbloccati avremo a disposizione equipaggiamenti e veicoli di livello 1. Ma aumentando il livello di connessione con i prepper e proseguendo nella trama, potremo arrivare fino al livello 3.
A un livello maggiore corrisponde naturalmente un’efficacia superiore dell’attrezzo o del veicolo. Ma anche, in molti casi, a una diversa tipologia. Come per le moto e i camion, che potranno essere maggiormente votati alla velocità, o alla difesa. Nel novero degli strumenti del corriere chiudono il cerchio le attrezzature di autodifesa, che si dividono in letali e non letali. Da pistole e fucili capaci di sparare proiettili letali per gli umani (che potranno anche essere semplicemente storditi o immobilizzati).
Fino ad arrivare a delle granate e ad altre armi efficaci contro le C.A. Armi che dovranno necessariamente contare su delle particolari munizioni: il sangue di Sam. Si scopre infatti che esso risulta essere notevolmente efficace contro le Creature Arenate. Esse potranno essere allontanate o annientate con armi e granate caricate a sangue. Che potrà essere attinto direttamente da Sam (senza esagerare, altrimenti diventerà anemico), oppure da sacche di sangue, decisamente più pratiche.
IL LEGAME CON L’ALDILÀ E I BB
In un mondo come quello di Death Stranding, legato indissolubilmente al soprannaturale, non possono mancare varie peculiarità. Come le Dooms, particolari abilità legate alla Spiaggia e dunque al mondo dei morti, da cui alcuni esseri umani sono affetti. Ce ne sono di alto livello come quelle di Higgs, che può controllare le C.A. Come quella di Fragile, un altro personaggio fondamentale che invece può teletrasportarsi. Fino ad arrivare ad abilità più basilari, come la semplice percezione delle Creature Arenate.
Pur costituendo un pericolo fisico, concreto, esse risultano essere invisibili ai più. Per ovviare all’incapacità di vedere (figuriamoci contrastare) le minacce principali del mondo esterno, le compagnie hanno inventato i BB (Bridges Baby). Bambini partoriti prematuramente dai corpi di madri esanimi (cioè morte a livello cerebrale). Essi rappresentano, simbolicamente e fisicamente, un collegamento con l’aldilà. Essendo loro stessi sospesi tra il mondo dei vivi e quello dei morti, hanno infatti l’innata capacità di percepire le C.A, anche visivamente.
Sam è affetto da Dooms di basso livello, ed è capace solamente di percepire le C.A. Per poterle vedere deve affidarsi a un BB, al pari degli altri corrieri. A differenza di loro però il nostro protagonista è un Riemerso. Quando muore riesce infatti a tornare in vita dopo essere passato dalla Spiaggia. In Death Stranding non esiste dunque la permadeath. Tuttavia la morte non è priva di conseguenze. Ogni volta che verremo uccisi o sopraffatti dalle C.A torneremo in vita, sì.
Ma nel luogo della morte avverrà un’esplosione, che causerà una grande voragine. La struttura della mappa di gioco finirà dunque col risentirne in maniera permanente, andando a intaccare un mondo già messo in ginocchio di suo. Durante la nostra avventura dovremo fare attenzione a sopravvivere, cercando nel contempo di tenere sempre ottimale l’umore del BB. Le cui capacità saranno direttamente proporzionali ai livelli di stress suoi e dello stesso Sam.
APPROCCIO ALLE MINACCE E CLASSIFICAZIONE
A eccezione di rare circostanze, in Death Stranding avremo sempre la possibilità di affrontare o di evitare le minacce. Siano esse C.A, Muli e in generale terroristi. Nella maggior parte dei casi un paziente approccio stealth risulta però essere maggiormente lungimirante. Si evitano danni al carico in seguito a una colluttazione, e in generale si ha la possibilità di non essere scoperti e di portare a casa la pelle. Il combattimento viceversa rimane sempre un’incognita, oltre che un rischio per se stessi e per ciò che si sta trasportando.
Sconfiggere le C.A può essere vantaggioso per accumulare più in fretta cristalli chirali, uno dei materiali con cui è possibile potenziare le strutture e creare strumenti. Nei confronti dei terroristi e dei Muli invece, qualche volta può valere la pena di passare da prede a cacciatori. Nel caso dovessimo essere derubati da loro, la merce sottratta sarà depositata nel loro accampamento più vicino. Accampamenti che potremo anche assaltare, nell’atto di fare incetta di attrezzatura e di altri carichi rubati o dispersi.
C’è da dire che a fronte di una cura maniacale per la sceneggiatura, per il fattore simulativo dei trasporti e per tutto ciò che ruota attorno alle consegne, il combat system appare viceversa più grezzo. Decisamente non al livello delle altre variabili che compongono il gameplay. Certo è tutto tranne che il fulcro del gioco, eppure la differenza è ben visibile. Più curata invece la sezione stealth. Quasi un obbligo, verrebbe da dire, per colui che con Metal Gear ha ridefinito per sempre il genere.
Ed è proprio attorno al problema della classificazione che risiede tutto il valore e il potenziale di Death Stranding. Non proprio un videogioco d’azione, ma ben più di un semplice simulatore. Un titolo fortemente autoriale che incarna una visione, quella di Kojima, che si è potuta realizzare in maniera libera e indipendente. Senza logiche di mercato dettate da case produttrici, che con ogni probabilità avrebbero finito con l’alterare le idee dell’autore. Finendo anche con omologare il videogioco stesso alle consuetudini in-game che regolano il mercato in misura maggiore.
CONNESSIONI NELLA SOLITUDINE
Ed eccoci finalmente alla componente più affascinante e potenzialmente incisiva di Death Stranding: il multiplayer asincrono. Il tema principale del gioco è infatti la connessione, da perseguire e diffondere con i vari npc. Ma anche con altri giocatori, corrieri come noi impegnati in questa nobile missione. Si tratta sostanzialmente di cooperazione indiretta. Non potremo mai interagire direttamente con gli altri utenti, poichè manca una vera modalità cooperativa. Ciò nonostante è possibile stabilire una connessione con loro attraverso il Bridge Link. La meccanica principale attraverso cui si delinea questa particolare interazione.
Aiutare ed essere aiutati. Questo è il “motore solidale” che Kojima ha avuto intenzione di promuovere nel gioco. Dove è possibile, per esempio, donare e ricevere attrezzature attraverso gli armadietti presenti in ogni terminale delle città, dei centri logistici e dei rifugi. Certo, il cammino attraverso l’annessione alle UCA da parte degli esseri umani sopravvissuti al Death Stranding è fortemente introspettivo. Contraddistinto da una forte solitudine. Eppure, là fuori, non saremo totalmente abbandonati a noi stessi.
Tutte le strutture che potremo erigere, da semplici scale e chiodi da arrampicata fino a torri di guardia, ponti e generatori, saranno condivise con gli altri. A muovere e a determinare la capacità di vedere e sfruttare le suddette strutture (sia da parte loro che nostra) sarà il proprio numero di “mi piace”. Un sistema sociale preso in prestito direttamente dalla realtà, che in questo caso può determinare il livello di connessione con le infrastrutture altrui. Per far salire il proprio livello nella sezione Bridge Link è fondamentale ricevere più mi piace possibili.
Il modo più pratico per riuscirci è quello di piazzare strutture in maniera intelligente, e non a caso. Poichè ogni regione che visiteremo avrà un proprio limite di banda chirale. Un autentico limite alle strutture che potranno essere presenti contemporaneamente su un territorio. Ricordiamoci dunque di lasciare un buon numero di mi piace su una struttura che ci è stata utile. In questo modo alimenteremo un circolo estremamente virtuoso che farà comodo tanto a noi quanto agli altri.
CAST STELLARE E SUPPORTO ALLO SVILUPPO
Chi conosce Hideo Kojima ha ben presente la sua passione sfrenata per il mondo del cinema. Un ambito che nei suoi videogiochi ha sempre cercato di omaggiare, e non solo di attingervi. In Death Stranding ciò appare ancora più evidente rispetto al passato, vista la cura e le risorse investite in termini di scrittura e sceneggiatura. Gli stessi personaggi principali sono direttamente interpretati da attori ben noti, come Mads Mikkelsen nel ruolo di Clifford Hunger e Lèa Seydoux in quello di Fragile.
Non mancano camei e vari omaggi ad altre celebri personalità stimate da Kojima, che non hanno direttamente interpretato e prestato la propria voce ai personaggi. Ai quali però hanno dato il volto. Come nel caso del famoso regista Guillermo del Toro, che presta le proprie fattezze allo scienziato Deadman. O quello di Junji Ito, il famoso fumettista nipponico maestro dell’horror che ritroviamo nell’Ingegnere, uno dei tanti Prepper sparsi per il mondo di gioco.
Un altro cameo molto interessante è quello di Hermen Hulst, ex leader di Guerrilla Games. La nota software house autrice della serie Killzone, e più recentemente di Horizon Zero Dawn. Un omaggio tutt’altro che casuale da parte di Kojima, visto che Death Stranding è stato realizzato interamente con il Decima Engine. Il motore appartenente proprio allo studio olandese, che una volta venuto a conoscenza dell‘inizio dei lavori da parte di Kojima Productions ha permesso l’utilizzo del suo motore in maniera totalmente libera e gratuita.
Un’autentica e mirabile attestazione di fiducia nelle idee del game designer giapponese, che libero dal giogo di Konami ha liberato del tutto la sua creatività. Facendo altresì un sapiente uso del Decima, che impiegato per la prima volta su Pc ha dato prova di tutte le sue grandi potenzialità. Un risultato certamente molto incoraggiante per l’engine di Guerrilla, soprattutto in vista dell’arrivo di Horizon Zero Dawn Complete Edition su Pc, previsto per il prossimo 7 agosto.
TANTE LUCI E POCHE OMBRE
Inutile cercare un modo diverso per dirlo. La versione Pc di Death Stranding costituisce un esempio lampante di come dovrebbe essere compiuto un porting da console a computer. Difatti non è solo una conversione (per giunta ottimizzata in maniera eccellente) in scala 1:1 della versione originale PS4, ma sfrutta appieno le potenzialità insite nel Pc in termini di piattaforma. Dal supporto a formati di schermo Ultrawide all’utilizzo della tecnologia DLSS 2.0 di Nvidia.
Questo e altre caratteristiche che si aggiungono a uno dei simboli dell’atto di giocare su Pc: lo sblocco totale del framerate. Con l’obiettivo (pienamente centrato) da parte di Kojima Productions di far girare il titolo a 60 fps anche con configurazioni non propriamente di fascia alta. L’egregio lavoro svolto sul lato ottimizzazione ha infatti consentito un largo margine di movimento per quanto concerne i requisiti di sistema. Anche configurazioni di medio livello potranno riprodurre Death Stranding in maniera fluida e onorevole. Che si tratti di 60 fps con dettagli alti o di 30 fps con settaggi più ambiziosi.
In entrambi i casi il gioco risulta godibilissimo, e alla portata di tanti proprio grazie alla sua scalabilità. Un fattore che, a dispetto della forte autorialità del titolo (che non lo rende adatto a tutti), aiuta senz’altro a rendere possibile, oltre che gradevole, l’esperienza per tanti utenti. Un titolo incentrato sull’aspetto simulativo e sulla forza dei suoi messaggi, ma che non manca di presentare alcuni elementi meno curati. Fortunatamente presenti in maniera infrequente nel novero dell’esperienza di gioco complessiva.
Come abbiamo detto in precedenza, l’aspetto meno curato è certamente quello che riguarda il combat system. A fronte di una relativa abbondanza di armi e strumenti (anche di offesa), le sezioni più movimentate risultano paradossalmente meno coinvolgenti da giocare. Con meccaniche da sparatutto in terza persona estremamente semplicificate, che sono (o possono rimanere) circostanziali nel complesso dell’esperienza. Questo grazie al fatto che si può sempre ricorrere a un approccio stealth. Lo stesso non si può dire con alcuni importanti e inevitabili snodi narrativi, che ci coinvolgeranno in boss fight decisamente poco memorabili. A ciò si aggiunge la discutibile fisica dei veicoli, decisamente meno convincente rispetto alla cura riservata ai movimenti a piedi.
COMMENTO FINALE
Scrivere la recensione di un titolo fortemente autoriale come Death Stranding è stata davvero un’impresa titanica. Tante sono le idee messe in campo da Hideo Kojima, che libero dalle catene di una software house a cui rendere conto ha messo in piedi un mondo affascinante. Un immaginario fantasioso e per diversi tratti inquietante, ma anche fortemente distopico e riflessivo nella sua capacità di rappresentare molti valori e fragilità, tanto dell’essere umano quanto della società moderna.
Una realtà più che mai contemporanea verso la quale il lavoro di Kojima Productions offre un’interessante chiave di lettura, messa al servizio di un gameplay oltremodo unico. Altamente simulativo e ricco di componenti complesse e variegate, ma anche qualcosa di estremamente particolareggiato, che può avere (e che ha avuto, nei quasi 9 mesi trascorsi dalla release su PS4) notevoli difficoltà nell’incontrare il favore del pubblico generalista. Sam Porter Bridges è difatti il protagonista di un titolo che osa e che fa osare.
Osa, nel proporre ritmi e dinamiche che di certo non vanno per la maggiore, ma che qui assumono una rilevanza e un valore tutto nuovo. E fa osare, nell’atto da parte dei giocatori di misurarsi con un’esperienza diversa e unica nel suo genere (che propriamente non esiste). Un’esperienza da vivere nel segno dell’importanza delle connessioni e della preservazione del senso di comunità. Da perseguire in un’esistenza ideale, dove tutti sono consapevoli del fatto che l’unione fa la forza, specie dinanzi ad avversità ingestibili per i singoli.
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