È una domenica particolare. Come tante altre, ma al tempo stesso particolare. Un ossimoro? Probabilmente ma spesso e volentieri gli ossimori hanno più coerenza di mille parole.
È un editoriale strano e complesso quello che sto scrivendo. Non sono abituato a scriverli anche perché, come sempre sostenuto, penso che siano cose per giornalisti seri, bravi, preparati e, soprattutto maturi. Non che io non lo sia (serio, per il preparato e bravo spero di arrivarci, per la maturità, almeno all’anagrafe dovrei già averla da un pezzo), ma spesso e volentieri dimentico di aver superato i 40 e che almeno nel settore dei videogiochi sono già fuori quota. E probabilmente qualche simpaticone mi considera già vecchio ma questa è un’altra storia.
La settimana che si sta concludendo mi ha ricordato come Pac-Man – e più tardi scriverò un pezzettino a tal proposito (uno mio, si intende) – abbia compiuto 40 anni. E che è sicuramente una delle prime icone dei videogiochi. Un ambasciatore di questo settore che ancora oggi non è compreso da tutti pur essendo semplice. Forse al punto tale che da chi non vive questo mondo è valutato malissimo. Sottostimato quando non gli si riconoscono meriti, sovrastimato quanto gli si attribuiscono colpe non sue.
Pac-Man ha fatto senza dubbio il botto grazie alla sua immediatezza: un labirinto, quattro fantasmini che ci inseguono ed una creatura rotonda gialla che si ispira ad una pizza senza una fetta che mangia pillolette bianche e frutta. E così via per tanti livelli, fino al 256emo che è affetto da un bug così celebre che ha ispirato qualche anno fa la stessa Bandai Namco a realizzare un gioco dedicato.
La serie poi è cresciuta ma è inutile parlarne qui. Questo è un articolo per cazzeggiare, un editoriale in libertà. Canzoni un po’ stonate con parole un po’ sbagliate (cit.) anche per omaggiare un fatto che non c’entra niente con il nostro mondo dei videogiochi.
Una lezione di giornalismo, professione che ho sposato da 20 anni e con la quale chiuderò questo pezzo con un aneddoto personale, arriva dal New York Times. Più che di giornalismo su come mi piace intendere questa professione che purtroppo viene sempre spesso martoriata ed umiliata in favore dei click.
Ordunque, il New York Times ha dedicato la sua prima pagina alle quasi 100.000 vittime causate dal maledetto Covid-19 negli Usa. Come? Semplice, nel modo più “signorile” possibile, scrivendo nome e cognome, età, stato di provenienza, di ogni sfortunato ed un pensiero per ricordarlo. Anche il titolo dice tutto: “U.S. Death near 100,000, an incalculable loss” (Vittime americane vicino a 100.000, una perdita incalcolabile). Un semplice gesto, una carezza, un omaggio a chi non c’è più infischiandosene il fatto che, appunto, siano quasi 100.000 nomi da ricordare. L’articolo cita brevi storie di mille persone. Una lezione perché la ritengo tale.
Mi ha fatto ricordare perché mi piace questa missione. Perché fare il giornalista, soprattutto in Italia dove si deve essere sempre maltrattati e paragonati a chi scambia fischi per fiaschi o a chi spaccia bufale, non è solo un lavoro (malpagato e non rispettato, quando va bene) ma è una vera e propria missione.
E già che ci siamo, ieri, 23 maggio, c’è stato il 28° anniversario della strage di Capaci dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie – magistrato – Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Non vado oltre perché tutte le parole sarebbero inutili. Ieri, nonostante il periodo particolare dovuta a questa emergenza sanitaria, spontaneamente le persone si sono fermate davanti all’abitazione palermitana di Falcone, nella centralissima via Notarbartolo. Un simbolo forte, nonostante tutto fatto di sobrietà. E forse questa ritrovata e forzata sobrietà fa molto effetto, più di mille navi che approdano al porto di Palermo. Perché si, educare è fondamentale, ricordare pure, ma tutte le manifestazioni pubbliche a volte mi sembrano stucchevoli perché spesso e volentieri c’è troppa retorica. E spesso e volentieri ci ricordano come alcune cose proprio non cambiano anche nella nostra bella Sicilia… e la notizia sugli arresti domiciliari per il manager anti-covid della Sanità siciliana accusato di aver preso tangenti – proprio lui che avrebbe dovuto combatterle ed estirparle – lo conferma.
Ed oggi, sono 18 anni dalla mia iscrizione all’Albo. Tutto qui. Rispetto ad allora sono cambiate troppe cose. Ma l’amore per questa professione, anche se colpito più volte da delusioni lavorative, umane e soprattutto economiche, seppur sopito ogni tanto, è rimasto sostanzialmente identico. Ed ora? Niente, penso al prossimo articolo ed a voi auguro una buona lettura.