Bloodroots, Recensione PS4

L'aspetto ironico di un'ondata di frenetica violenza

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Vi parleremo di Bloodroots, raccontandovi, nella nostra recensione della versione PS4, una storia fatta di azione, tanta violenza gratuita e il tutto condito con una malsana e irriverente ironia. Paper Cult, uno studio di indie di stanza a Montreal, ha deciso di scendere in campo presentando un’evoluzione dei buoni e vecchi beat’em up.

Loro amano definirli fast-paced action games, giochi basati su azioni frenetiche e mosse spettacolari. Dopo la nostra esperienza di gioco, secondo noi Bloodroots potrebbe rientrare in un’ennesima sotto categoria, platform fast-paced action games. La scelta di unire componenti platform in un gioco basato su combo frenetiche è una scelta azzardata. I due meta, come la storia dei videogames insegna, viaggiano a due velocità diverse. Paper Cult ha forse fatto il passo più lungo della gamba?

Se volete scoprirlo non vi resta che restare con noi e con la nostra recensione di Bloodroots, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS4.

UNA SVELTA VENDETTA

Iniziamo la nostra recensione della versione per PS4 di Bloodroots, all’insegna della parola vendetta, concetto che meglio descrive e accompagna la scorrere degli eventi di gioco. Per mettere in atto i suoi folli piani il villain di turno, Mr. Wolf, stermina il villaggio del nostro protagonista. Non contento, finisce con un colpo di pistola e uno di ascia il nostro alter-ego in gioco.

La voglia di vendetta è, però, un qualcosa che riesce a fare miracoli e far tornare i morti nel regno dei vivi. Adesso tra voi e Mr. Wolf vi sono solo 3 atti di intense emozioni, all’insegna della violenza gratuita e tanto sangue. Dovete solo avere un po’ di pazienza con i dialoghi, localizzati in lingua inglese. Purtroppo il mondo indie, sviluppando videogiochi in regime di risparmio, taglia molto sui costi di traduzione.

Come abbiamo esordito nella premessa della nostra recensione per PS4 di Bloodroots, il gioco rientra all’interno del genere fast-paced action games, che tradotto significa frenetico gioco d’azione. Ci aspettavamo quindi un gioco molto veloce, che sa essere frenetico quanto basta, pieno zeppo di combo e mosse speciali concatenate e con delle animazioni a tema (in stile fatality di Mortal Kombat).

Alcune di queste componenti le abbiamo ritrovate in Bloodroots. La velocità delle azioni e la frenesia sono i due pilastri portanti del meta del gioco. Non abbiamo, invece, ritrovato il meccanismo delle combo a catena come ce lo aspettavamo noi. Queste sono legate al concetto di uccisione e non di colpo messo a segno. La parte bella e originale di Bloodroots è proprio questa.

La potremo quasi definire una macabra fantasia, quella appunto di studiare nuovi modi originali per ammazzare i nostri avversari presenti sul terreno di gioco. Tutto può trasformarsi in arma, anche perché tutto (o quasi), investito dalla nostra potenza distruttiva, finisce in mille pezzi rilasciando oggetti utilizzabili. Il nostro personaggio è solo in grado di sferrare un pugno che, se ben assestato, è in grado di mandare K.O. il nemico di turno. Ma ne può dare solo uno e quindi diventa facile preda in caso di gruppi di nemici.

Vi vengono in aiuto gli oggetti presenti sulla mappa, che si possono suddividere in armi e oggetti ibridi. I primi rappresentano il vero e forse l’unico modo efficace per scatenare la vostra potenza distruttiva. Ce ne sono di diversi tipi e man mano che avanzate con i livelli ne scoprirete sempre di nuove. Le armi vi permettono di generare un danno in grado di coprire un’area che varia a seconda della tipologia dell’arma.

Vi sono le spade che, per esempio, vi permettono di ripulire la zona con dei movimenti in linea retta super-veloci. Vi sono, invece, le catene che generano un vortice distruttivo in grado di coprire un’area piuttosto grande. Gli oggetti ibridi, a differenza delle armi, sono versatili e si trasformano, se la situazione lo richiede, in strumenti offensivi. In linea di massima il loro scopo è quello di farvi raggiungere aree sopraelevate, coprire lunghe distanze e liberare spazi.

Ma attenzione, non è tutto oro quello che luccica. I vostri oggetti, che siano essi armi o ibridi, hanno una durata limitata. La vostra abilità di perfetti assassini vi costringerà ad analizzare lo scenario di gioco per capire come impostare la perfetta strategia della morte. Ora non ci sentiamo di dire che è facile diventare oggetto-dipendenti, limitando il gameplay alla ricerca ossessivo compulsiva di armi e surrogati di esse. Invero, non ci sentiamo nemmeno di smentire del tutto questa affermazione. Vi sono delle sequenze in cui la concentrazione di nemici è importante dove il semplice vostro pugno rischia di essere un biglietto di sola andata per l’inferno.

UN PLATFORM O UN BEAT’EM UP?

Se rispondessimo a questa domanda dicendovi “entrambi” non commetteremmo di certo un errore. La natura frenetica ed action, che ricorda i tanto amati beat’em up è viva e presente. Il level design, allo stesso tempo, rievoca in noi quell’amore intramontabile verso i platform. I vari stage sono piuttosto eterogenei tra loro. Difficilmente troverete delle situazioni “riciclate” da precedenti livelli, rendendo l’esperienza mai ripetitiva.

Sorgono però due problematiche nel far convivere questi due generi assieme. Il primo problema è dato dalla natura estremamente veloce del gioco, definita dagli sviluppatori stessi fast-paced. Il design della mappa si sviluppa anche in altezza ma le sue “limitazioni” non sono sempre ben identificate e visibili.

È molto facile, mentre ci esibiamo in mirabolanti e folli combo, finire in un burrone senza nemmeno accorgersi che li ce ne era uno. Colpa sicuramente della troppa voglia di vedere aumentare quel numerino, quello che conta il numero delle uccisioni, e migliorare il nostro posizionamento nella leaderboard mondiale.

Noi, però, una parte di responsabilità la addossiamo anche allo stile di design utilizzato in Bloodroots. Il cartoon style molto simile a quello della serie animata Netflix Samurai Warrior, entra in contrasto con la visuale isometrica utilizzata. Questa evidenzia sicuramente la natura multipiano del level design, grazie al gioco di ombre e luci, nel contempo, però, appiattisce le zone di profondità. Per questo, e per il precedente motivo, terminare le nostre evoluzioni “giù per un fosso” è una cosa che dobbiamo mettere in conto.

Queste due problematiche appena evidenziate danno vita al vero grande problema che affligge Bloodroots, insito nella logica del respawn. Ad ogni colpo e/o tuffo nel vuoto si finisce al creatore e si ri-inizia dal nostro ultimo checkpoint. Immaginate di re-iterare questo ciclo per diverse volte, inventare nuovi modi per superare lo stage e miseramente fallire perché avete esagerato con le vostre evoluzioni e non avete visto il burrone di turno. Questa lacuna, a nostro avviso evitabile da parte di Paper Cult, penalizza molto l’esperienza di gioco.

Nell’equilibrio dei due generi, il platform e l’action frenetico, il secondo domina la scena. Non sottovalutate però neanche il primo. Gli stage possono nascondere dei segreti, identificati da un lupo di colore nero. Questi, oltre a influire sul punteggio di fine livello, servono anche per rilasciare l’unica mod presente nel gioco, un copricapo a tema.

Questo cappello fornisce al personaggio un miglioramento delle prestazioni in battaglia. Stranamente gli sviluppatori hanno deciso di abilitare questo upgrade solamente nei livelli già completati e non in quelli ancora da affrontare. Onestamente non ne capiamo il senso di questa scelta.

COMMENTO FINALE

La nostra recensione della versione per console PS4 di Bloodroots si conclude qui. A margine del nostro lavoro possiamo dire che siamo piacevolmente soddisfatti dal lavoro svolto da Paper Cult. Ancora una volta le cose che divertono sono sempre quelle più semplici. Il gameplay, basato sulla dinamica del “killo tutto quello che trovo sulla mia strada” unita a delle logiche tipicamente platform, riesce a intrattenere ma non a sorprendere. Il nostro database videoludico è piuttosto ampio e di giochi simili a questo ne abbiamo già visti qualcuno. Lo stile ironico che accompagna l’escalation di violenza è comunque un bella trovata e ne diventa il marchio di fabbrica.

Dal punto di vista tecnico vi sono delle defezioni che fanno parte dell’infrastruttura del meta stesso. Mixare due generi, il platform e l’action frenetico, è pericoloso per via della loro natura profondamente diversa. Il level design, infatti, soffre questo dualismo identitario. Le animazioni dei movimenti e la logica con cui si collezionano combo, vincendo una lieve diffidenza iniziale, sono funzionali ma devono essere performate con una buona consapevolezza spaziale. Finire in burrone, dopo aver fatto la macabra piroetta di turno, è molto facile. Il gioco manca di una localizzazione in italiano, aspetto quasi scontato nel panorama indie. Bello ma non bellissimo.

Pregi

Lo stile ironico che accompagna la folle escalation di violenza riesce a creare "il nuovo" in un genere già ampiamente esplorato da altri. Lo stile grafico "cartoon style" è funzionale alle azioni ed evoluzioni frenetiche del gameplay. Le animazioni sono molteplici così come lo sono gli oggetti e le armi utilizzabili in gioco...

Difetti

...ma il level design, il più delle volte, non regge il passo. Colpa forse del design dello scenario che non si adatta perfettamente alla natura frenetica del gameplay. Si segnala, infine, l'assenza della localizzazione in italiano.

Voto

8+