Da tempo è riconosciuto il fatto che i videogiochi siano molto più di un passatempo. Certo, c’è chi gioca per puro e semplice svago, ma anche chi lo fa con il preciso scopo di provare emozioni. Non necessariamente legate all’euforia o al senso di onnipotenza derivante dalla mattanza di una manciata di poligoni controllata da un’IA. Dopotutto non si legge un libro di E.Allan Poe (che tra l’altro dà il nome al livello di difficoltà “normale” del gioco) con l’intento di farsi quattro risate in allegria. Song Of Horror costituisce un ritorno ai survival horror vecchia scuola, tra molti cliché ma anche con qualche meccanica interessante e originale.
Frutto del lavoro dello studio iberico Protocol Games, che lo ha rilasciato dopo circa cinque anni di sviluppo, il titolo si sviluppa con una formula a episodi. Il gioco base (che costituisce l’episodio 1) è disponibile su Pc, via Steam, al prezzo di 7,99 euro. Stesso prezzo per ognuno dei quattro episodi programmati, acquistabili singolarmente. Il 2 è stato lanciato in contemporanea con il titolo, il 3 e il 4 arriveranno rispettivamente a dicembre e gennaio, mentre il 5 verrà rilasciato a marzo.
L’acquisto del season pass assicura tutti i contenuti, presenti e futuri. Pubblicato dall’editore Raiser Games, Song Of Horror si rifà a titoli come Layers Of Fear e Amnesia, ma si ispira anche ad alcuni esponenti della letteratura di genere, come il già citato E.Allan Poe e H.P.Lovecraft, dove quest’ultimo dà anche il nome al livello di difficoltà più alto. Di seguito la nostra recensione di un survival horror che, nonostante i suoi limiti, ha non poco da dire. Vi auguriamo una piacevole lettura.
UN’INVESTIGAZIONE TERRIFICANTE
L’avventura di Song Of Horror viene introdotta da una cutscene che mostra un carillon, poggiato su di una scrivania all’interno di una stanza. Un motivo inquietante si diffonde tutto intorno, e un sinistro fumo nero inizia a propagarsi dal carillon in procinto di scoperchiarsi. Ma un uomo riesce ad accorrere nella stanza e a chiudere l’oggetto prima che l’entità (che poi verrà conosciuta come “La Presenza”) possa uscirne. Da lì inizia fisicamente il viaggio del giocatore nei panni di Daniel Noyer, dipendente di un’agenzia che una sera, rientrando a casa, viene contattato dal suo superiore per occuparsi di un incarico urgente.
Una delle penne di punta della loro società Wake Publishing, lo scrittore Sebastian Husher, scompare senza lasciare tracce. La sua famiglia segue la stessa sorte, e Daniel viene incaricato di andare a casa sua almeno per recuperare il manoscritto che lo scrittore avrebbe dovuto consegnare di lì a poco. Uomo con un passato difficile alle spalle, Daniel accetta tutt’altro che di buon grado, e si dirige alla dimora di Husher, una grande casa in stile coloniale. Porta d’ingresso aperta, una strana melodia nell’aria, oscurità progressivamente più fitta. Le premesse non sono per nulla rassicuranti, ma Daniel si addentra sempre più nel mistero con la fida torcia alla mano. Fino a che qualcosa non sconvolge per sempre la sua vita, e quella degli investigatori dopo di lui.
SOTTO A CHI TOCCA
Il gioco si sviluppa a episodi, che pur variando in ambientazioni ecc seguono un filo conduttore lineare, incentrato sulla necessità di far luce sulla scomparsa di Sebastian Husher.
Impersonare Daniel costituirà una sorta di prologo, visto che fin troppo presto un altro investigatore prenderà il suo posto nell’esplorazione e nella risoluzione dei vari misteri. I primi due episodi propongono rispettivamente quattro e due investigatori tra cui scegliere, ognuno con il suo background e il suo strumento esclusivo. Per quanto a conti fatti la differenza tra i vari personaggi sia tendenzialmente estetica, ognuno di loro si differenzierà dagli altri sia per il suddetto background (che lo porterà a commentare diversamente le scoperte e i fatti nel corso dell’investigazione) sia per l’oggetto che li aiuterà a combattere la paura. La lotta contro “La Presenza”, un’entità maligna che tormenterà costentemente il giocatore concedendogli brevi finestre di respiro, sarà uno dei tratti principali di Song Of Horror.
Che si tratti di una torcia, di una candela o di un semplice accendino, la fonte di luce del personaggio controllato dal giocatore sarà sempre inesauribile. Ma ciò non può di certo bastare a rasserenare gli animi: la peculiarità del titolo sviluppato da Protocol Games è infatti la modalità con cui i personaggi si avvincenderanno nell’investigazione. La morte di ognuno di loro sarà permanente, e il personaggio successivo, scelto dall’apposito menu, subentrerà nel compito di fare mistero sulla scomparsa di Husher e della sua famiglia. Nel luogo della morte del personaggio precedente sarà invece possibile recuperare gli oggetti e i vari indizi rinvenuti fino a quel momento, così da riprendere l’indagine da dove si era interrotta. Inoltre, nel caso in cui tutti gli investigatori trovino la morte, l’episodio dovrà essere ricominciato da capo.
In termini di visuale, il gioco ricorderà non poco una tradizionale avventura grafica. Molte inquadrature saranno infatti fisse, collegate ai singoli ambienti, e solamente in rari casi vi sarà un effettivo dinamismo, con la visuale che seguirà specularmente il giocatore. La lotta a “La Presenza” avverrà in diversi modi, rigorosamente non belligeranti: l’incontro diretto con lei sarà infatti fatale, in ogni caso. L’entità oscura si aggirerà per le stanze, per le pareti, in forma di fumo/melma e (nel caso del secondo episodio) sotto forma di mostri.
In quest’ultimo caso bisognerà muoversi in stealth ed evitare il contatto, mentre negli altri casi avranno luogo degli autentici mini-giochi, che prevederanno la pressione di alcuni tasti, in un certo modo. Per esempio capiterà di dover rifugiarsi sotto a un tavolo o in un armadio per sfuggirle, dove bisognerà premere la barra spaziatrice a tempo con i battiti cardiaci, per riuscire a calmare il personaggio in preda al terrore. Oppure potrebbe capitare di dover sbarrare una porta all’ingresso dell’entità, priva di forma ma non di consistenza, che proverà a entrare con la forza.
Attraverso tali dinamiche prende piede l’influenza delle “statistiche” dei personaggi, come velocità (di spostamento), forza (nel chiudere le porte o altro) e sicurezza (capacità di respingere la paura). L’investigazione sarà estremamente classica, così come gli enigmi, che tuttavia proporranno un livello equilibrato di sfida. Tanti (anche troppi) oggetti da esaminare, molti dei quali effettivamente inutili, altri da combinare e utilizzare in determinate aree.
La vena di originalità si fa maggiormente sentire con le azioni legate a “La Presenza”, come l’atto di poggiare l’orecchio a una porta, prima di aprirla, per verificare la presenza di rumori particolari. Non mancheranno tuttavia dei momenti di frustrazione, legati all’imprevedibilità di alcune morti. Vedere il proprio personaggio morire in seguito a un’interazione con l’ambiente dopo aver verificato (almeno superficialmente) l’assenza di “La Presenza”, non sarà affatto piacevole. Ma farà comunque parte di un gioco che, al netto dei numerosi clichè in termini di trama e di meccaniche, saprà comunque catturare l’interesse degli amanti del genere survival horror.
BENE MA NON BENISSIMO
A dispetto del non faraonico budget dietro allo sviluppo del gioco, che rimane a tutti gli effetti un indie, la realizzazione svolta mediante il comprovato Unreal Engine 4 fa un’ottima figura. I modelli tridimensionali degli ambienti e dei personaggi sono molto ben realizzati e caratterizzati, come anche gli effetti delle luci e delle ombre, in grado di rendere trasmettere concretamente una sensazione di profonda inquietudine. Un po’ più raffazzonato il versante delle animazioni: sia quelle dei volti, davvero poco espressivi, che quelle dei movimenti, che trasmetteranno non di rado una sensazione di “legnosità”. Movimenti datati, figli di epoche videoludiche ormai trascorse e che in prossimità del 2020 stonano non poco con il resto del comparto tecnico, che come abbiamo detto è parecchio di sopra alla media, soprattutto in virtù della natura indipendente del gioco.
Song Of Horror risplende parecchio sul sonoro, dove i brani e i rumori ambientali giocheranno un ruolo determinante nell’atto di far vacillare l’animo del giocatore. Meno curato il doppiaggio in inglese, piuttosto anonimo e privo di personalità: assenti oltretutto i sottotitoli in italiano. Sul fronte dell’ottimizzazione il titolo di Protocol Games presenta una rilevante scalabilità dei settaggi, e a dispetto di qualche incertezza abbiamo constatato un framerate stabile anche con impostazioni elevate. Ci auguriamo che da qui agli episodi successivi il titolo possa migliorare ancora, liberandosi magari da qualche clichè e andando a brillare (per modo di dire) in un’oscurità densa di survival horror.
COMMENTO FINALE
Song Of Horror si avventura in un genere, il survival horror, assai inflazionato e denso di esponenti. Attraverso un gameplay più tendente all’avventura grafica che non ai classici walking simulator, l’opera di Protocol Games riesce comunque a coinvolgere grazie a diversi spunti interessanti, che tuttavia vengono un po’ macchiati da alcuni limiti e difetti, certamente figli della natura low budget del gioco.
La stessa proposizione mediante una formula a episodi, alla Telltale, potrebbe far storcere il naso a non pochi utenti. Ma il prezzo tutto sommato modico (meno di 10 euro a episodio) spinge comunque a investire su di esso, che a conti fatti rimane un viaggio investigativo solido, che per spaventare non si avvale di scene raccapriccianti a tema splatter. Il livello dei primi due episodi lascia ben sperare per i successivi tre, che arriveranno nei prossimi mesi.
Pregi
Un survival horror vecchio stampo, ma con delle meccaniche interessanti. Natura indie ma grafica ed effetti di alto livello. Durata proporzionale al prezzo dei singoli episodi, comunque assai modico.
Difetti
Molti cliché, narrativi e di gameplay, che guastano gli spunti indiscussi. Fronte delle animazioni decisamente sottotono. Alcune morti tendenzialmente assurde e frustranti.
Voto
7.5
4 commenti su “Song Of Horror, Recensione”