God of War, Recensione PS4

Il ritorno dei Dio della Guerra otto anni dopo l'epopea olimpica

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Questa non sarà una recensione ordinaria, perché ormai God of War per PS4 è stato giocato, finito, rifinito da oltre tre milioni di appassionati e tra fiumi di parole ed ore di gameplay commentati oppure no, c’è ben poco da scrivere che non abbiate già letto, giocato o visto giocare dallo scorso 20 aprile, giorno in cui l’ultima fatica di Santa Monica Studio è stata pubblicata segnando, di fatto, un nuovo standard qualitativo di riferimento nel novero dei giochi espressamente single-player, lineari o quasi.

Ma è davvero tutto oro, quello che luccica? Questo è la nostra recensione ed il nostro parere spassionato.

ALLA SCOPERTA DELL’EDDA NORRENA

Il prologo narrativo di God of War offre un senso di mistero misto a “thrilling” talmente intenso, che dona lo slancio a chiunque gioca per andare fino in fondo alla faccenda e vederci un po’ più chiaro. Troviamo Kratos alle prese con un’onoranza funebre e un rito di cremazione tipico della civiltà norrena. Al suo fianco, da subito, si muove Atreus che oltre ad essere solo un ragazzino, è anche il figlio del protagonista. Dopo aver raccolto le ceneri del defunto, i due decidono di incamminarsi verso la montagna più alta della regione, perché le ultime volontà del defunto dettavano chiaramente che le ceneri ottenute dalla cremazione andassero sparse dalla vetta più alta.

E’ l’inizio di un’epopea che non ha precedenti, sia nella storia di God of War – l’intera serie – sia nel recente passato o nel presente delle produzioni videoludiche. Qualcuno ci vede lo stesso antefatto e la stessa motivazione di Far Cry 4 ma al di là di questo, c’è ben poco che possa fare il pari all’ultimo lavoro di Santa Monica.

Le prime ore di gioco scorrono senza nemmeno che ce ne accorgiamo. Abbacinati, abbagliati, sbigottiti da quanto compiuto sul fronte tecnico dagli sviluppatori americani. Monumentale, magnificente, stupendo, splendido sono solo alcuni degli aggettivi che ci sono passati per la testa mentre giocavamo. Il viaggio di Kratos e Atreus ci porta alla scoperta dell’Edda norrena, il novero di miti e leggende scandinave che coinvolgono Odino, Thor, Aesir, giganti, nani e chi più se ne ricorda ne metta nel calderone.
Apprendere di una mitologia tanto affascinante e misteriosa come quella dei popoli nordici, non è mai stato così entusiasmante.

Cosa ci fa, Kratos, il macellaio dell’Olimpo, in una capanna ricoperta di neve scandinava, poco distante da un lago da cui emerge il Midgardsormr, un titanico serpente marino che abbiamo visto fin dal primo trailer del gioco?

Scoprirlo è, semplicemente, l’esperienza più avvincente di questa prima metà del 2018 e molti potrebbero giurare che non sarà eguagliata da nessuno da qui a dicembre. Fino ad ora, ed è senza ombra di dubbio un dato di fatto, l’epopea di Kratos è quella che rapisce e diverte più di tutte quelle fino ad oggi uscite, almeno secondo il parere di chi vi scrive.

IL KOLOSSAL DI SANTA MONICA

Al di là di una presentazione grafica sontuosa, una solidità di programmazione minata da pochissime imperfezioni – e quelle poche che restano vengono sempre ripulite da puntuali aggiornamenti di gioco (ultimo in ordine di tempo quello che aggiunge anche la Photo Mode, ndr) – e un sistema di combattimento che ammicca al passato ma vira decisamente su una strada del tutto nuova e mai sondata prima dagli sviluppatori, God of War è un videogioco e giudicarlo solo dal punto di vista tecnico non sarebbe molto opportuno.

Dopo un lungo prologo necessario, guidato e in cui il tutorial di tutte le novità viene – pagina dopo pagina – rivelato al giocatore che ha tutto il tempo di prendere confidenza con il sistema di controllo, God of War ci lascia al comando di Kratos e Atreus che hanno, sostanzialmente, due scelte: proseguire lungo il sentiero tracciato dagli sviluppatori fino ai titoli di coda, godendo di un gioco magistralmente bilanciato e dai ritmi narrativi praticamente perfetti e con pochi o zero punti morti; oppure esplorare le poche aree esplorabili, finché l’equipaggiamento permette di raggiungerle e i mostri che costellano le zone non diventano un po’ troppo forti.

Questo perché God of War si compone di un’area centrale, il Lago dei Nove, da cui si raggiungono aree limitrofe oppure altre ambientazioni, che si sbloccano andando avanti nella trama e in cui ci si può “teletrasportare”. Le mappe non sono gargantuesche né troppo piccole: sono estese nella giusta misura per non lasciare tempi eccessivamente morti tra gli spostamenti e le poche esplorazioni offerte. E (come se ci fosse bisogno di ribadirlo) sono bellissime: ogni ambientazione ha un proprio stile, dei colori dominanti e nemici a tema.

Esplorare premia con piccole ricompense che, accumulate e investite presso gli immancabili fabbri/venditori tipici di un videogioco, possono essere forgiate per ottenere equipaggiamenti più potenti. Si, perché God of War ha un lieve accenno ai videogiochi di ruolo, regala punti esperienza necessari a sbloccare abilità avanzate di combattimento e materiali da forgia per costruire armature più efficaci, per stare al passo con nemici sempre più coriacei e dannosi.

Il difetto più grande di God of War è che, prima o poi, finisce. Finendo, inoltre, lascia un profondissimo senso di insoddisfazione. Non perché viene in mente di chiedersi “tutto qui?” ma perché per quasi tutto il tempo assistiamo ad una sorta di “Santo Graal” dei videogiochi lineari, che accompagnano il giocatore tra le ambientazioni, le battaglie e i colpi di scena con un sistema di “pesi e contrappesi” davvero convincente. Quasi, purtroppo, perché sul finire della giostra è come se emergesse un controllore delle montagne russe e ti dicesse “ti è piaciuto il giro? Sta per finire, quindi goditi il poco che resta”.

Cosa resta sul finire del gioco? Incarichi di secondaria importanza, quasi sempre focalizzati sul combattimento di potentissimi nemici. Tutti quei nemici che sarebbe stato bellissimo incontrare durante l’avventura e non come semplici deputati ad allungare un po’ il brodo. Profondo senso di insoddisfazione finale, ribadiamo, che non intacca il giudizio finale di un gioco che si fa peccato a non provarlo almeno una volta nella vita.

COMMENTO FINALE

Videogioco d’azione e avventura in terza persona, con telecamera vicino alle spalle del protagonista (come accadeva in Resident Evil 4 e nei suoi diretti seguiti). God of War è l’ultima fatica di Santa Monica Studio in esclusiva per PS4 e dimostra quanta potenza grafica può muovere l’ammiraglia di Sony, pur senza scendere a tantissimi compromessi di contenuto o fluidità.

Tecnicamente parlando c’è ben poco da dire: un’overdose, una “pornografia” di poligoni, effetti particellari, effetti di illuminazione, animazioni che rasentano la perfezione che portano, ineluttabilmente, ad un “orgasmo per gli occhi”. Espressioni tra le più convincenti mai viste, design dei livelli quasi sempre a sfiorare un’ideale perfezione, sequenze di combattimento molto appaganti, che ogni giocatore può affrontare secondo il proprio stile di gioco.

Sul fronte prettamente ludico è un’eterna fusione tra la vecchia tradizione e un nuovo corso, un nuovo modo di concepire God of War. Da un lato tante piccole cose che ricordano la vecchia trilogia, dall’altro nuove esigenze anche tecniche: pochi nemici sullo schermo, raramente alle spalle, davvero in pochi attaccano contemporaneamente. Altri assenti sono gli enigmi ambientali, assenza che aiuta a tenere alto il ritmo di gioco ma spenti i neuroni. Piccoli accenni ai videogiochi di ruolo d’azione e poche velleità esplorative chiudono un cerchio quasi perfetto.

Quasi, perché la magnificenza grafica e il soddisfacente sistema di combattimento nascondono le magagne. Il monumento di Santa Monica Studio sembra fatto per essere adorato “frontalmente”, perché quando si prova a vederlo da altre angolazioni il senso di meraviglia tende a scomparire. E’ come se donasse il meglio di sé solo e soltanto sul fronte della narrazione e del “seminato”, ma quando – sul finire del gioco – il giocatore viene lasciato libero di esplorare e di portare a termine le prove di abilità per ottenere gli equipaggiamenti più potenti qualcosa si incrina. Il viaggio che ci ha fatto scoprire praticamente tutta la mitologia norrena, d’un tratto, si “interrompe” perché si vuole lasciare spazio al giocare in stile anni ‘90 più che al racconto. Uno stacco che riteniamo un po’ troppo netto, quasi fuori luogo.

God of War non inventa o rinnova assolutamente niente sul fronte giocoso: tutto quello che troviamo qui, si giocava già in Darksiders o nei primi Legend of Zelda. Ma quello che offre, lo offre in una maniera più unica che rara. Un bellissimo titolo da giocare tutto d’un fiato cercando di esplorarne ogni contenuto, ma è presto per decretarlo il migliore dell’anno e fazioso etichettarlo come il migliore fino ad oggi: quando c’è un solo candidato c’è una sola scelta e vincere così è fin troppo facile.

 

Pregi

Graficamente splendido e tecnicamente solido. Gameplay instancabile e ben strutturato. Insegna vera mitologia facendo divertire tanto. Storia e personaggi memorabili.

Difetti

Prima o poi finisce. Difetta nel cosiddetto "end game" che lascia insoddisfatti.

Voto

9+