Lost Sphear, Recensione PS4
Il delicato titolo di Tokyo RGP Factory omaggia i classici jrpg
Quando Square Enix fondò Tokyo RGP Factory, il suo intento era chiaro: rilanciare i giochi di ruolo alla giapponese. I tanto amati jrpg che tra gli anni ’90 e gli inizio 2000 fecero faville anche in Occidente grazie a titoli storici (Chrono Trigger o i Final Fantasy dell’era dei 16 e dei 32 bit), hanno, infatti, alterne fortune da qualche annetto.
La software house giapponese ha quindi attinto dal passato per proporre prima I AM Setsuna e, più recentemente Lost Sphear. È proprio di quest’ultimo gioco che parleremo anticipando subito che si tratta di una vera e propria lettera d’amore proprio a Crono Trigger.
Ecco la nostra recensione della versione PS4 del gioco disponibile anche per Pc, uscito lo scorso 23 gennaio. Buona lettura.
UN MONDO TRANQUILLO, ADESSO IN PERICOLO
Il mondo di Lost Sphear sembra avulso dal concetto di tempo e sembra incastonato in una dimensione spensierata, quasi felice. Il piccolo villaggio di Elgarthe, una località molto graziosa posta in una dolce collina, vive la propria vita serenamente.
In questo contesto conosciamo Kanata e Lumina, un ragazzo ed una ragazza molto uniti da una fervida amicizia, protagonisti di questa storia. Assieme a loro Locke, un ragazzo piuttosto sempliciotto e dalle reazioni istintive che spesso spiazzano gli altri.
Dopo essersi ritrovati, i tre ragazzini (sono molto giovani, ndr) vanno a caccia di piccoli mostri nei dintorni del paesello. Tuttavia, al loro ritorno una nube bianca, misteriosa ed impenetrabile, colpisce i luoghi a loro familiari al punto che nulla è rimasto sui luoghi da loro conosciuti. A quel punto a loro si unisce un quarto ragazzo, un po’ più grande ed esperto, dal nome Van. Ma come arrivare a superare questo problema? In nostro soccorso arrivano i poteri nascosti di Kanata: il ragazzo può eliminare questa foschia che imprigiona, di fatto, i luoghi colpiti minandone la loro stessa esistenza.
E lo fa grazie alle memorie dei luoghi e delle persone scomparse. Il primo passo, dopo aver fatto una piccola quest tra le rune in una località vicina, è quello di ripristinare i posti familiari del paesello di Elgarthe ma a quel punto i nostri eroi inizieranno un viaggio per salvare il mondo.
Non mancheranno certo alcuni problemi con i soldati imperiali dalla dubbia lealtà ed altri incontri al racconto di RPG Factory. Nulla che non sia stato già trattato dai classici del genere e, più in generale, da altri titoli. Anzi, la software house ha incentrato la trama sui ricordi…
GAMEPLAY CLASSICO, CHE PIU’ CLASSICO NON SI PUO’
A rafforzare l’idea di un titolo che omaggi i classici jrpg di metà anni ’90 e comunque dell’epoca dei 16 e dei 32 bit, giunge il gameplay che si basa sull’esplorazione, sul combattimento e su dialoghi che narrano la trama, ci suggeriscono dove andare ma che quasi mai ci fanno decidere cosa fare.
Emerge un sistema di combattimento che adatto l’ATB, ovvero l’Active Time Battle tanto caro a Chrono Trigger, amato titolo del lontano 1995. La differenza col classico di 23 anni fa, sta nella possibilità che in Lost Sphear i personaggi possono muoversi durante le battaglie. Si può infatti scegliere il bersaglio e la posizione dove colpire e che tipo di mossa fare. Si potrà optare se attaccare, usare un oggetto (solitamente una pozione), o una mossa speciale che consumerà i punti mana ripristinabili tramite pozione.
Sempre durante le schermaglie sarà importante aspettare quando colpire. Esiste, infatti, il Momentum che se azzeccato moltiplica i danni e gli effetti degli attacchi. Si tratta di una barra che si riempie dopo aver colpito od essere stati colpiti. Questa caratteristica può fare la differenza tra la vittoria e la tragica sconfitta nel corso delle battaglie più dure.
Il party di The Lost Sphear si gestisce molto facilmente tramite un menu classico che permette di utilizzare le risorse ma anche di scegliere in quale ordine far muovere i personaggi o se cambiare i componenti del quartetto.
Troviamo personaggi adatti al combattimento in mischia nonché quelli bravi da lontano. Utile avere un gruppo equilibrato. Un’altra novità è la Vulcosuit, degli esoscheletri mecha che offrono ulteriori bonus in fatto di resistenza ed in grado di sostituire le classiche armature ma anche per sfruttare il talento personale di ogni protagonista: il Paradigm Drive.
Ma non tutto è oro quel che luccica: le Vulcosuit sono potentissime ma ogni azione costa un certo numero di VP (da ricaricare riposando nelle locande delle varie location, ndr). Facile intuire che questi VP si azzerino facilmente per cui ogni azione con le armature mecha dovrà essere misurata ed è probabilmente più utile utilizzare la loro potenza nei combattimenti che contano, magari negli scontri con i boss.
E vale la pena ricordare come alcuni di questi boss siano davvero ostici al punto di essere tentati da abbassare il livello di difficoltà che si può cambiare liberamente nel corso della nostra avventura.
Il vecchio e caro farming (pratica conosciuta a chi gioca questo genere di titoli, sia che siano alla occidentale che giapponese) è ridotto all’osso. Si, c’è il respawn ma una volta che personaggi saranno “troppo” forti, i punti esperienza guadagnati saranno sempre di meno contro avversari facili e sarà una vera e propria perdita di tempo. Inoltre gli incontri casuali lungo l’esplorazione della mappa del regno per spostarci da un punto di interesse all’altro, non esisteranno. Se da un lato potrà fare piacere ai neofiti, i più navigati sentiranno la mancanza di questa caratteristica. Durante le nostre camminate lungo la mappa sarà possibile raccogliere risorse utili tra le quali le memorie.
Vale la pena ricordare anche che nel corso delle battaglie i personaggi periranno potranno essere riesumati grazie ad una pozione speciale ma se, nel caso, i rimanenti componenti del gruppo rimarranno in piedi dopo la battaglia, i caduti saranno recuperati ma dovranno essere curati.
È importantissima anche l’esplorazione della mappa del mondo di gioco che sarà caratterizzata da molte location coperte dalla famosa e misteriosa coltre bianca di cui abbiamo parlato. Il nostro eroe, Kanata, come detto, è in grado di dissolvere queste nubi col potere di materializzare i ricordi.
Gli artifacts (o artefatti), offrono una meccanica gestionale nel gameplay. È possibile, infatti, utilizzare alcune memorie (che vengono raccolte lungo la mappa o come loot dopo i combattimenti) per costruire gli artefatti: specie di obelischi che possono essere piazzati dove serve.
Le costruzioni servono in primis per dissolvere la nebbia e mostrare (nuove) location ma permettono anche al nostro manipolo di eroi, di ottenere bonus sugli attributi. E quindi si potranno costruire un tempio per offrire maggiore velocità nell’esplorazione, o per dare più potenza all’attacco o più resistenza. Starà a noi decidere cosa realizzare. Il gameplay è caratterizzato anche dall’esplorazione della mappa del regno e dal ritrovamento (salvataggio) di location da conoscere. Purtroppo si farà spesso e volentieri avanti ed indietro tante volte mentre i dialoghi saranno spesso e volentieri un modo per rallentare il ritmo del gameplay che a tratti è piuttosto lento anche se ugualmente godibile.
GRAFICA GRADEVOLE, COLONNA SONORA DELICATA
Tokyo RPG Factory ci offre un comparto tecnico gradevole che certamente non è miracoloso ma è senza dubbio gradevole anche se sembra datato.
La grafica ha uno stile deformed ma è molto pulita e con un discreto numero di dettagli anche non troppi. Non mancano le piccole chicche a livello effettistico: erba scossa al nostro passaggio, animazioni di contorno che offrono coerenza al tutto, luci ed ombre ben fatte ed una discreta varietà di ambientazioni. Solo discreta perché ad esempio i dungeon non ci sono sembrati il massimo dell’originalità. I modelli di alcuni nemici, inoltre, non ci hanno impressionato più di tanto e ci sono sembrati un po’ anonimi.
Ad ogni modo (quasi) tutto quello che è proposto è molto pulito e non spoglio come i detrattori potrebbero obiettare. Il livello artistico di questa produzione non si discute ma forse avrebbe potuto avere una sua identità più forte.
L’aspetto complessivo è quello di un’opera fortemente influenzata dai classici di cui abbiamo parlato con spunti interessanti ma nulla più.
Delicato è il comparto sonoro che offre belle melodie, orecchiabili che danno il giusto peso alle nostre azioni. La colonna sonora è firmata da Tomoki Miyoshi, già autore dei brani di I AM Setsuna. Il doppiaggio è in giapponese mentre non c’è alcuna localizzazione in italiano. Si può giocare in inglese ed anche in giapponese se lo si desidera.
Complessivamente un lavoro svolto con raffinatezza e sicura competenza che se avesse avuto più carattere probabilmente ci avrebbe colpito ancora di più.
COMMENTO FINALE
Lost Sphear è un gioco che oseremmo definire un delicato omaggio ai classici jrpg. Un’opera di valore che se vista in una luce propositiva offre una storia non originalissima ma comunque godibile ed un’avventura in grado di garantire un buon numero di ore di gioco.
Forse non vuole pretendere molto, ed è questo – probabilmente – il limite più grande di un lavoro svolto con competenza ed artisticamente gradevole anche se privo dei guizzi che lo avrebbero reso indimenticabile. In alcuni casi (soprattutto in alcuni nemici ed alcuni dungeon) il lavoro ci ha convinto di meno.
È comunque un titolo dal buonissimo gameplay, da una realizzazione tecnica valida, pur senza estri particolari, e senza problemi alcuni, nonché in grado di rievocare i fasti di un tempo che fu vera gloria per gli jrpg. Se amate questo genere, Lost Sphear è un titolo che non dovrebbe mancare. Per gli altri, ci permettiamo di suggerirlo vista l’immediatezza del suo gameplay e dell’ottimo sistema di combattimento e gestione, anche ai neofiti.
Pregi
Un omaggio ai classici jrpg. Sistema di battaglia e gameplay ottimi. Adatto ai neofiti. Longevo. Realizzazione tecnica pulita…
Difetti
… ma manca il guizzo del campione. A volte si perde troppo nei dialoghi. Alcune location, così come alcuni nemici, sarebbero potuti essere più ispirati.
Voto
7,5