Outcast: Second Contact, Recensione Pc
Terra, 1999, i videogiocatori di tutto il mondo guardano al Millennium Bug intrattenendosi con giochi del calibro di Age of Empires II, Crash Team Racing, GTA 2 e Dino Crisis. Dalla Francia “dominata” dall’etichetta Infogrames (Ubisoft era ancora lontana dal diventare il colosso che è oggi) arriva lo studio Appeal e sforna Outcast: un videogioco d’azione e avventura, in terza persona, open world, con elementi presi in prestito da The Legend of Zelda e Tomb Raider (allora alla sua quarta pubblicazione). Dopo di lui il mondo impazzirà per GTA 3, Morrowind e tutto il resto. Ma prima di lui? Praticamente nulla di simile ed è un vero peccato che Outcast non abbia lasciato il segno, pur essendo il pioniere di un tipo di giochi che – oggi – è semplicemente la normalità. Outcast: Second Contact, sempre di Appeal, è il tentativo degli sviluppatori di riportare alla luce la loro fatica e darle il posto che le spetta tra le pietre miliari del genere.
IL MESSIA DEI DUE MONDI
La trama che ruota intorno al protagonista di Outcast, un soldato americano delle forze speciali che si chiama Cutter Slade, è un omaggio assai intrigante ai classici della Fantascienza quali Stargate e Dune. Inviato, attraverso un portale dimensionale, in un altro universo, considerato alla stregua di un Messia chiamato Ulukai dai Talan, gli autoctoni di Adelpha (questo il nome del pianeta dove atterra Cutter Slade), il “salvatore” suo malgrado viene appesantito della responsabilità di salvare due universi e di ritrovare i suoi compagni di missione, dispersi dopo l’attraversamento del portale.
E’ appena l’inizio di un’avventura che porta Cutter Slade a farsi largo in un ambiente sconosciuto, di cui non conosce assolutamente niente e di cui sa soltanto che – al pari del proprio Universo – ad un certo momento smetterà di esistere.
RITORNO AL FUTURO
Outcast: Second Contact è, né più né meno, un cambio di vestito a quello che fu Outcast del 1999. Tecnicamente, infatti, quello che salta più all’occhio è il passaggio dal Voxel Engine a Unity 5, che mostra muscoli fatti di texture molto accettabili, effetti luce ed ombra buoni ma che non fanno urlare al miracolo, scorci mozzafiato come diciotto anni fa. Il titolo originale si presentava con un motore grafico assolutamente singolare, non spettacolare a vedersi ma decisamente funzionale e indubbiamente gradevole. Il peso degli anni, tuttavia, si fa sentire tutto e il passaggio a più recenti tecnologie non ha fatto male ad Outcast.
Quello che è stato fatto male e (pensiamo e temiamo) consapevolmente è l’importare fedelmente, e senza migliorie, l’impianto del sistema di controlli: il movimento del personaggio, le animazioni e la loro concatenazione. Diciotto anni fa poteva anche passare per pionieristico, grezzo ma con grandi margini di miglioramento. Oggi, al confronto con produzioni di gran lunga più blasonate e “fluide” da giocare, Outcast mostra il fianco ad un’esperienza farraginosa, dal gusto profondamente retro che può fare sentire a casa (o mandare in sullucchero) la vecchia guardia di appassionati che non chiedevano altro. Ma fallisce nel tentativo di farsi conoscere e – soprattutto – apprezzare alle nuovissime leve, quelle che per primo gioco hanno imbracciato un GTA San Andreas o produzioni più recenti e open world. La divulgazione di un’esperienza profonda e coinvolgente come Outcast passa anche per un gameplay che era doveroso smussare in più di uno spigolo e l’occasione sembra solo sprecata. Outcast: Second Contact sembra pensato più per i pochi che lo conoscessero già, piuttosto che per le nuove generazioni di videogiocatori e questo ci dispiace.
TANTA AVVENTURA POCA AZIONE
Outcast: Second Contact trasuda anni ‘90 da ogni pixel e lo fa da subito, mettendo il giocatore di fronte alla consapevolezza che non sarà mai preso per mano e guidato nelle basi del sistema di controllo o di combattimento. Se volessimo imparare qualcosa, dovremmo cercare e poi trovare il personaggio giusto, con cui parlare per accedere a spiegazioni verbali o veloci pratiche sul campo. Se non volessimo o non potessimo farlo, il tutorial starebbe lì, in disuso, liberamente accessibile ma liberamente ignorabile. Passano pochi minuti tra l’inizio del gioco e la domanda spontanea “e ora che cosa dovrei fare per andare avanti?”.
La risposta è tanto semplice quanto poco scontata: esplorare ed interagire. Un po’ come accade nella vita vera, dobbiamo essere noi a muoverci, prendere l’iniziativa e ottenere le informazioni o gli oggetti che vogliamo: nessuno verrà a darci “la pappa in bocca” e nessun aiuto audio-visivo ci avvertirà che un personaggio lì nei pressi ha qualcosa di importante da dirci mentre quello che gli sta a fianco non ha nulla da dirci.
Severo eppure giusto, Outcast: Second Contact non fa sconti a nessuno, neppure durante le fasi di esplorazione necessarie a scoprire la conformazione del terreno, costruirci una mappa e prendere punti di riferimento. Presto ci imbattiamo in passaggi difesi strenuamente, difficilmente accessibili oppure – semplicemente – da aggirare e senza le opportune conoscenze o i dovuti oggetti è impossibile procedere a meno di non essere davvero abili con le armi che Cutter Slade porterà con sé. Le fasi di azione mostrano il fianco a più problemi: quelli già citati di animazioni e movimento vengono messi vicino ad una gestione della telecamera non sempre di aiuto al giocatore. Aggiungiamo al tutto una sensazione del tutto insipida mentre diamo fuoco alle polveri, unita al fatto che i colpi inferti e ricevuti non danno sensazioni “fisiche” convincenti. Non pervenuta la modalità Stealth, accennata nel tutorial all’inizio del gioco ma talmente basilare e poco convincente da dimenticarsene in fretta.
Da un fronte, quindi, troviamo un gioco molto intrigante, tutto da scoprire, da esplorare, da conoscere mediante dialoghi con gli indigeni e indagini da “inventarsi”. D’altro canto, le animazioni troppo retro, la telecamera un po’ ostica e un sistema di sparatutto in terza persona decisamente fuori tempo massimo e invecchiato malissimo fanno traballare l’offerta del suo insieme.
Decisamente perfetta per chi volesse “riabbracciare” Outcast ma in forma visiva più contemporanea, decisamente avida di compromessi per tutti quelli che volessero affacciarsi ad un gioco Fantascientifico di esplorazione, indagine e combattimento che ha gettato i semi per illustri posteri. Ultimo plauso va fatto al lavoro sull’intelligenza artificiale: tra le più convincenti che possiamo trovare in giro ancora oggi. Solo per fare un paio di esempi: se impugniamo un’arma da fuoco, i civili si rannicchieranno, imploreranno pietà o andranno a cercare riparo. Anche i nemici cercheranno riparo dai nostri colpi. Se disarmati, i civili saranno più rilassati, mentre i nemici si sentiranno sicuri di sé e attaccheranno a testa bassa, incuranti delle coperture da ricercare.
COMMENTO FINALE
Outcast: Second Contact è una versione tirata a lucido, con Unity Engine 5, del monumentale progetto dello studio Appeal, pubblicato da Infogrames, diciotto anni or sono. Si tratta di un videogioco d’azione e avventura, in terza persona, con elementi presi in prestito dai videogiochi di ruolo (missioni, dialoghi, incarichi, esplorazione) e dagli sparatutto in terza persona. Essendo, Outcast, di classe 1999 non è sbagliato affermare che molti degli illustri esponenti del free-roaming in terza persona debbano a questo titolo molta della loro fortuna.
Outcast: Second Contact è, né più né meno, lo stesso gioco del 1999 con un adeguata rivisitazione grafica: dal Voxel Engine a Unity Engine 5. Quello che, in buona sostanza, doveva essere il cavallo di battaglia diciotto anni fa, e che ancora oggi fa la sua bella figura, è stato rimpiazzato da un motore grafico più al passo con i tempi e fortunatamente il colpo d’occhio non ne ha risentito, anzi ne ha guadagnato. Quello che è rimasto esposto ai rigori del quasi ventennio passato è il sistema di combattimento, insieme alle movenze non proprio naturalissime e ad una modalità stealth che poteva benissimo essere rimossa perché quasi totalmente inutile.
Per il resto, il lavoro di Appeal si difende piuttosto bene: Adelpha, il mondo di gioco, è sempre vasto, sfaccettato, estremamente curato in ogni aspetto. I suoi abitanti, i Talan, pur essendo brutti alieni a vedersi, hanno personalità e intelligenza, anche più di quanta ne possiamo vedere in certi free-roaming ancora oggi. Outcast: Second Contact riesce, a distanza di quasi quattro lustri, a farci sentire spaesati, alieni e appesantiti da gravi responsabilità. Chi ricorda l’originale con un certo affetto non potrà che apprezzare gli sforzi di Appeal di riportare al futuro la loro opera. Tutti gli altri potrebbero risentire del fatto che poco e nulla è stato fatto per “addolcire” un sistema di movimento e telecamera fermo a diciotto anni fa.
Pregi
Storia intrigante. Ambientazione tutta da scoprire e affascinante. Esplorazione, missioni e dialoghi non hanno sentito il peso degli anni. Intelligenza artificiale ancora imbattuta.
Difetti
Le animazioni e la gestione della telecamera, purtroppo, si. Possibilità di affrontare il gioco in modalità “stealth” ma, di fatto, la meno ispirata.
Voto
7