Intervista a Fabio “Kenobit” Bortolotti sull’adattamento italiano a Thimbleweed Park
Quattro chiacchiere anche per conoscere chi ha reso godibile nella nostra lingua questa avventura
Thimbleweed Park, uscito a fine marzo scorso, è stato senza dubbio uno dei giochi più interessanti di questo 2017. E non solo per gli amanti delle avventure grafiche punta e clicca di vecchia scuola.
L’ultima fatica firmata dai maestri Ron Gilbert, Gary Winnick e David Fox, assieme al team Terrible Toybox è stata apprezzata largamente in tutto il mondo (noi gli abbiamo dato un sonante 9,5 su 10, fatevi due conti) e nella nostra analisi oltre ad apprezzarne la trama ed il suo svolgersi, nonché il lavoro artistico, abbiamo notato l’ottimo adattamento nella nostra lingua.
Un lavoro mastodontico firmato da Fabio “Kenobit” Bortolotti, non nuovo a questo genere di opere, che abbiamo avuto il piacere di intervistare dando risalto alla sua opera che, sicuramente, ha dato quel quid in più a quanto splendidamente fatto dagli sviluppatori. I suoi testi, infatti, hanno impreziosito il gioco e dato l’opportunità ai giocatori italiani di assaporare in toto non solo Thimbleweed Park ma anche quelle citazioni dei classici che hanno dato una sorta di background storico-parallelo alla nuova avventura.
Bortolotti ha dalla sua, infatti, una lunga serie di lavori ed adattamenti nella nostra lingua di titoli importanti. Tra questi citiamo, tra i più recenti, Far Cry Primal, Far Cry 4, Far Cry 3, Watch Dogs 1 e 2, Child of Eden e StarCraft II: Wings of Liberty.
Abbiamo, così, chiesto qualche dettaglio all’autore dei testi nella nostra lingua. Ecco cosa ne è uscito fuori da questa nostra chiacchierata informale su alcuni dettegli e sensazioni sul gioco da parte di chi lo ha tradotto in modo sapiente. Contrariamente, infatti, alle ferree regole giornalistiche, abbiamo tenuto un colloquio meno asettico del solito anche perché siamo sempre giocatori appassionati prima che giornalisti.
Vi auguriamo, quindi, una buona lettura.
Presentati al pubblico, quali altri lavori di traduzione ed adattamenti italiani hai già realizzato?
“Mi è più facile presentarmi con un link a Moby Games che raccoglie tutti i giochi in cui sono comparso nei credits. Purtroppo la lista non è esaustiva perché non tutti i produttori elencano i traduttori nei riconoscimenti, ma dà l’idea. Quando non traduco videogiochi faccio streaming dedicati alla cultura del retrogaming (www.twitch.tv/kenobisboch) e suono il mio Game Boy in giro per il mondo come Kenobit (kenobit.bandcamp.com). Ah, in passato ho scritto su varie riviste di videogiochi, come Giochi per il Mio Computer, The Games Machine, Xbox Magazine Ufficiale e Nintendo la Rivista Ufficiale (e altre)”.
Come è nata la collaborazione con gli sviluppatori di Thimbleweed Park?
“Ero alla GDC, un po’ con la scusa di Outcast.it, un po’ con la voglia di divertirmi, un po’ per aggiornarmi professionalmente e conoscere potenziali clienti. Ho incontrato Ron Gilbert insieme ai colleghi del sito, ci ha fatto vedere una demo di Thimbleweed Park e ci ha concesso una saporitissima intervista. Alla fine, gli ho detto che, a costo di sembrargli uno sbruffone, ero la persona giusta per tradurre il suo gioco in italiano, perché conoscevo alla perfezione i suoi lavori e soprattutto perché ci avrei messo tutta la passione del mondo. “Mandami una mail qui,” mi ha detto lui. Gli ho scritto una mail più o meno professionale, con un link ai miei lavori e uno spezzone di un longplay di Monkey Island 2 nel quale bevevo birra con una cannuccia sbirula. Qualche mese dopo, mi ha scritto e mi ha proposto il lavoro”.
Quanto sei rimasto emozionato dalla mail di risposta di Ron Gilbert?
“È stato un bel momento. Mi ero preso un mese di vacanza perché era appena mancato mio nonno ed ero distrutto. Ho ricevuto la mail un mattino all’alba, mentre mi stavo preparando per partire per un concerto a Liverpool. Ho subito detto di sì e ho realizzato che il mio mese di vacanza avrebbe aspettato. È stata una bella notizia in un momento difficile”.
Quanto tempo ci è voluto per tradurre tutto?
“Un mese per il grosso del lavoro, un paio di settimane per le rifiniture, un mesetto di ritocchi alla luce del testing in italiano (fatto da me e da tre amici, che vedete nei credits)”.
Quali sono state le difficoltà più ardue in questo lavoro di adattamento?
“La più grande difficoltà è stata la presenza del parlato inglese, unita ai testi di Ron Gilbert e soci, notoriamente pieni di battute, citazioni e giochi di parole. Se oltre ai sottotitoli ci fosse stato anche un doppiaggio italiano, risolvere i problemi più spinosi sarebbe stato facile. Così, invece, mi sono dovuto inventare soluzioni creative per tradurre in modo corretto, veicolare lo stesso humour e soprattutto per rimanere aderente all’inglese. Il tutto senza far sembrare la traduzione un calco sull’inglese, ovviamente. Non è bruttissimo quando guardi un telefilm e realizzi che i sottotitoli sono anche solo lievemente diversi dall’inglese? Ho fatto di tutto per evitare questo fenomeno. Nei rari casi in cui l’inglese non aveva una traduzione 1:1, per motivi culturali o linguistici, ho cercato di ingannare il lettore, adattando l’italiano ma facendolo sembrare il più aderente possibile all’inglese. A lavoro finito, ho rigiocato più volte tutta l’avventura per cambiare alcune virgole e alcune lunghezze, in modo che anche il ritmo della lettura rispettasse (nei limiti del possibile) quello del parlato. Un lavoraccio, ci ho messo quasi il doppio rispetto a una traduzione normale”.
Hai già raccontato alcuni aneddoti sul tuo lavoro come ad esempio lo scavatore, cos’altro puoi raccontarci sugli altri personaggi? Qualche cosa di succoso… e di inedito.
“I bipputissimi *bip* di Ransome sono stati una sfida linguistica interessante. Normalmente, nelle mie traduzioni, evito come la peste l’uso di “fottuto”. È una stupida traduzione di “fucking”, che si sente fin troppo spesso in film e telefilm ma che nel parlato italiano non esiste. L’ho usata con Ransome perché è una perfetta caricatura della volgarità gratuita. All’inizio avevo provato a tenere dei semplici *bip*, ma poi ho riflettuto sul fatto che Ron e soci hanno declinato i vari *beep* con forme come “beeping” e “beeped”, quindi ho preso il coraggio a due mani e ho declinato anch’io. Ho fatto tre passaggi completi, aggiungendo e togliendo suffissi ogni volta. Poi ho fatto leggere le battute a degli amici, chiedendo: “Che parolaccia ti immagini, qui?” Se la risposta era quella che mi ero immaginato, la strada era giusta. In molti casi, invece, ho dovuto girare intere frasi, perché alcuni *bip*, pur essendo corretti per le regole linguistiche che mi ero imposto, non erano immediatamente comprensibili o spezzavano il ritmo della frase”.
A proposito, chi è il tuo personaggio preferito? E perché?
“Delores. Durante la traduzione di Thimbleweed Park ho ascoltato principalmente Martin Galway sul mio Commodore 64 all’avanguardia, che è ancora fieramente piazzato sulla mia scrivania”.
Ed il passaggio del gioco preferito?
“SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER L’Easter Egg di Monkey Island. Quando ho giocato per la prima volta a Thimbleweed Park il gioco era a mesi dall’uscita, quindi ogni scoperta è stata magica. Quella in particolare”.
Sei riuscito nell’impresa non facile di rendere molto divertente praticamente tutto il gioco traducendolo in italiano e soprattutto adattandolo in modo ottimale, qual è il tuo segreto?
“Mi piacciono tanto i videogiochi e vorrei che fossero tradotti con l’attenzione letteraria che meritano. Nel caso di Thimbleweed Park, ho messo ancora più passione e impegno del solito: non mi sarei mai perdonato se avessi deluso Ron Gilbert”.
Sei cresciuto con i grandi classici LucasArt (poi LucasFilm) ed abbiamo visto tantissimi riferimenti, quanto ti ha emozionato rivederli in Thimbleweed Park?
“50% emozione, 50% paura. E se mi fossi perso qualcosa? Se non avessi colto qualche riferimento oscuro? Che figura avrei fatto coi miei amici nerd? Scherzi a parte, prima di tradurre mi sono rigiocato tutti i classici rilevanti per Thimbleweed (Zak McKraken, Maniac Mansion, Monkey 1 e Monkey 2), proprio per non perdermi niente. Quando ho usato la motosega è stato… catartico”.
C’era la paura che il titolo potesse subire l’ombra ingombrante di classici come The Secret of Monkey Island I e II, Maniac Mansion, Days of the Tentacle. Hai avuto una percezione di diverso fin da subito o anche tu hai temuto un senso di “timore riverenziale” che poi per fortuna non c’è stato.
“Mi rendo conto che non sono imparziale, ma per me Thimbleweed Park è superiore ad alcuni grandi classici, come per esempio Day of the Tentacle. Deluso da Broken Age e da altre avventure recenti, temevo che il mio amore per i classici SCUMM fosse solo figlio della nostalgia. Appena ho cominciato a giocare a Thimbleweed, invece, sono scattate le emozioni di un tempo, e ho capito che Ron Gilbert era tornato in grande stile. La grande ombra non era quella dei classici, era la sua”.
Come collochi il nuovo lavoro di Ron Gilbert, Gary Winnik e David Fox, può essere considerata una pietra miliare?
“La mia classifica personale:
1) Monkey Island 2
2) Monkey Island 1
3) Indiana Jones and the Fate of Atlantis
4) Thimbleweed Park
5) Zak McKraken
Quindi sì, pietra miliare, anche per come e quando è stato sviluppato”.
Ci sono delle cose che avresti migliorato nel gioco?
“Non mi piacciono alcune scelte tipografiche, soprattutto nei titoli dei capitoli. Ho sentito anche la mancanza di una regia musicale, come quella che c’era in Monkey Island per sottolineare momenti emozionanti e colpi di scena. Rendeva tutto più teatrale, e secondo me le avventure SCUMM sono essenzialmente delle piece teatrali”.
A cosa stai lavorando? Si può dire?
“Ovviamente no. :)”.
Ci abbiamo provato ? Grazie mille per l’attenzione!
“Grazie a te!”.