Sviluppato da Camel 101 e Bigmoon Entertainment per Pc, PlayStation 4 e Xbox One, Syndrome è approdato nei negozi digitali lo scorso 6 ottobre, dopo una fase in Early Access, portando con sé promesse di un’esperienza spaventosa, un “viaggio all’inferno”.
Alimentato dalla versione 5 dell’Unity Engine, Syndrome ci mette nei panni di Galen, uno scienziato che si risveglia nel vascello spaziale Valkenburg della Novacore Corporation. Da una prospettiva in prima persona ci facciamo strada fra i corridoi della nave cercando di sopravvivere a strane presenze e provando a scoprire cosa è accaduto.
OMAGGIARE I GRANDI CLASSICI
Syndrome è un’opera di inventiva, una creazione originale, realizzata da due squadre di sviluppatori indipendenti che pur non sbagliare il colpo, hanno pensato bene di ispirarsi, più o meno velatamente, a grandi classici, non solo videoludici.
Ci sono citazioni, riteniamo, anche di film horror e di fantascienza. Giocando a Syndrome, infatti, non si può non pensare a Doom 3 oppure a Dead Space quando ci si imbatte in corridoi pieni di ombre e flebili luci rosse oppure neon bianchi o azzurri. Impossibile non rievocare System Shock oppure Half-Life quando ci si imbatte in qualcuno o qualcosa che innesca una reazione spaventosa. La premessa, invece, è tutta cinematografica: risvegliarsi in un’astronave in cui l’equipaggio è tutto o quasi spazzato via da una forza misteriosa, come minimo, richiama le pellicole di Aliens.
Syndrome vuole rappresentare la somma di tante parti che hanno fatto la storia del videogioco e non solo. E lo fa, prima di tutto graficamente (l’introduzione ricalca quasi perfettamente quella di Doom 3), in secondo luogo sul profilo giocoso (una chiave inglese al posto di un piede di porco non basta a farci dimenticare Half-Life).
BELLO DA VEDERE MA ANCOR PIU’ DA SENTIRE
Syndrome, come accennato in apertura, si fonda su Unity Engine 5. Non vuole mostrare muscoli di dettaglio grafico o virtuosismi tecnici di sorta, ma vuole emozionare, impressionare, spaventare con giochi di luci ed ombre, coadiuvati da lamenti, grugniti, urla, rumori di passi e sussurri nella mente del protagonista/giocatore.
Riteniamo la sua realizzazione onesta, senza acuti né cadute di stile. Più di una volta ci è capitato di voltare un angolo e restare pietrificati da giochi di ombre che prendono in giro la vista e fanno pensare al peggio ma sono effetti che funzionano poche volte e alla lunga diventano prevedibili. Poco o nulla ci sarebbe da dire sulle animazioni: le poche del protagonista non si discutono, ma i più esigenti potrebbero trovare quelle dei comprimari un po’ grezze.
L’aspetto più bello di Syndrome, a nostro modo di vedere, è il sonoro. Sebbene sia stato scelto, a volte, di non fare coincidere quello che si sente con quello che si vede, il risultato è quello di tenere abbastanza alta la tensione ed è difficile anche solo desiderare di abbassare la guardia in un ambiente palesemente ostile anche quando non c’è niente e nessuno a minacciarci.
GAMEPLAY CLASSICO CON PICCOLE INCERTEZZE
Sotto il profilo meramente giocoso, Syndrome è quanto di più classico ci si possa aspettare. I veterani di mille avventure con Dead Space, System Shock, BioShock e Alien: Isolation si sentiranno subito “a casa”.
Le armi da fuoco sono presenti ma danno solo un’apparente senso di sicurezza. Tutto quel che dobbiamo fare è aguzzare l’ingegno e apprendere in fretta cosa è meglio fare per aggirare un tipo di nemico piuttosto che un altro: distrarlo, aggirarlo, affrontarlo con armi contundenti? A noi la scelta. Mal che vada si può (spesso, non sempre) scappare a gambe levate e riprovare un’altra strategia.
Quando si batte in ritirata oppure vogliamo nasconderci da sguardi ed orecchie indiscrete, notiamo tutti i limiti di una produzione indipendente: a volte i nemici sono autenticamente sordi o ciechi, altre volte sono più letali di Alien e Predator e ci troviamo in difficoltà a comprendere se essere scoperti sia un difetto nostro oppure un eccesso loro.
Altro limite, non di poco conto, che traduce poco tempo e soprattutto pochi mezzi a disposizione degli sviluppatori, è il cosiddetto backtracking. Si chiama backtracking la pratica di porre il giocatore in una mappa, o un insieme di mappe, farle esplorare e percorrere in lungo ed in largo, arrivare ad un punto specifico (o alla fine) e poi rispedirlo indietro, al bordo iniziale della stessa, a recuperare un oggetto che prima non era disponibile o non raggiungibile ma dopo svariate ore di gioco lo diventa.
Lo fanno più o meno tutti i videogiochi di ruolo, da qualche anno anche gli sparattutto in soggettiva e i giochi d’azione: dal primo Halo in poi, Darksiders, The Witcher, giusto per citarne di generi tutti diversi ma la lista è veramente lunga. Si pensi al primo Dead Space, uno dei tanti a cui Syndrome si ispira.
A differenza dei “grandi”, che colpiscono con la storia, con le ambientazioni, con elementi di gameplay che provano a smorzare il ritmo e a tenere alta l’asticella della tensione, quando Syndrome inizia a farci andare avanti ed indietro, su e giù, inizia a perdere mordente e a guadagnare prevedibilità.
COMMENTO FINALE
Syndrome è un survival horror in prima persona sviluppato da Camel 101 e Bigmoon Entertainment, che fa della tensione e del backtracking i suoi punti di forza. Purtroppo un abuso del “ritornare sui propri passi” lo fa scadere parecchio dal rango di gioco interessante ed imperdibile a quello di gioco da poter recuperare più in là.
Da un lato offre delle atmosfere davvero azzeccate ed un uso, tutto sommato, sapiente di effetti sonori. Dall’altro mostra il fianco ad un’intelligenza artificiale tutt’altro che convincente ed un generale “effetto grezzo” sul profilo delle animazioni. Non ci è dato sapere se è volutamente realizzato così per rievocare i mitici anni di System Shock di
In definitiva, Syndrome è consigliato per gli amanti del genere survival horror che non si spaventano (o non soffrono) della visuale in prima persona e non si tirano indietro di fronte a tipici difetti di una produzione indipendente, quali una generale instabilità; numerose, piccole patch di aggiornamento per risolverla; animazioni ed intelligenza artificiale lontani dagli standard a cui gli appassionati di grandi produzioni sono abituati.
Pregi
Visivamente ben realizzato. Doppiaggio convincente e traduzione buona. Grado di sfida sopra i livelli di guardia.
Difetti
Troppo backtracking. Tante, troppe citazioni da classici che lo hanno preceduto. Storia con poco mordente.
Voto
7,5