Lui Odia(va) i “Souls” – La Riscoperta

-

In occasione dell’uscita ormai prossima di Dark Souls 3 (fissata al prossimo 12 aprile su Pc, PlayStation 4 ed Xbox One), abbiamo deciso di inaugurare questo articolo che cercherà di ripercorrere l’evoluzione di questa saga ormai praticamente di culto.

Tuttavia, non si può iniziare a scrivere un pezzo riguardo Dark Souls e compagnia senza considerare il fatto che la rete sia ormai stata letteralmente invasa dai contenuti relativi a questa saga nipponica sviluppata in casa FromSoftware: soluzioni, approfondimenti, curiosità, “gare di velocità”, enciclopedie digitali e quant’altro. Per questa ragione abbiamo concluso che l’unico modo di non saturare ulteriormente il web al riguardo fosse di parlare dei cosiddetti “souls” attraverso la mia esperienza strettamente personale. Un rapporto che, lo ammetto, all’inizio era tutt’altro che promettente.

Tutto ciò ebbe infatti inizio decisamente nel peggiore dei modi: all’insegna del rifiuto, dell’odio e dell’incomprensione del loro successo. Ma dopotutto questo filone non è mai stato di quelli che cercava di convincere tutti ad apprezzarla in maniera incondizionata.
Anzi. Tuttavia l’errore più grave, e quello in cui incappai qualche anno fa clamorosamente da bravo videogiocatore smidollato e viziato, fu di dare per scontato che tutto ciò che mi risultava “innaturale” (quali la non istantaneità degli attacchi del personaggio e la sua elevata vulnerabilità a quelli nemici) fosse senz’altro frutto della negligenza e imprecisioni di chi di dovere, e che questi giochi in realtà non meritassero alcun tipo di riconsiderazione o elogio. Per fortuna, grazie anche ad un riscontro con altri giocatori (a cui invio loro un saluto affettuoso nel caso stiate leggendo questa mia), mi convinsi a ritentare con una mentalità “vuota” (un atteggiamento quasi Zen, se vogliamo), senza aspettative e pronta all’adattamento. Non fu facile, ma piano piano arrivai a comprendere e ad godere di ciò che questi titoli avevano da offrire.

Il mio percorso con questa saga è stato tutt’altro che lineare, in quanto posso dire di averla giocata e ultimata quasi alla rovescia (con l’esclusione momentanea Bloodborne per ragioni di piattaforma e di cui, quindi, non parlerò in questa sede). La rivalutazione, infatti, avvenne facendo qualche progresso con Dark Souls 2. Decisi quindi di lasciarlo in sospeso e passare al capitolo precedente, che portai fino in fondo con mia grande soddisfazione. Proseguii poi con Demon’s Souls (il primissimo, uscito nel 2010 in Europa in esclusiva PlayStation 3) e, una volta intravista la dicitura “fine”, tornai finalmente all’ultimo esponente della saga.

Bello il fuocherello. Ma è ora di andare. (Dark Souls)

Volete sapere una cosa? Fare il gambero non ha assolutamente avuto ripercussioni la mia esperienza. Al contrario: sento infatti di poter ritenere di essere riuscito a gustare e a carpire l’evoluzione dei Souls in maniera efficace proprio grazie a questa successione scollegata da quella ufficiale. Prima di incominciare, tengo a precisare come in questo articolo non potrò fare a meno di elencare alcune caratteristiche o dettagli dei titoli che andrò a descrivere. Se avete intenzione di giocarli, tuttavia, tengo a precisare il mio impegno a non svelare nulla di significativo e che potrebbe danneggiare la vostra esperienza.

I titoli che affronterò qui, in ogni modo, ritengo abbiano in comune 6 elementi costanti:

La possibilità di crearsi il proprio personaggio esteticamente e gestire vestiario e armamentario in libertà (andando poi ad investire risorse in maniera da rendere i nostri attacchi sempre più letali);

Un sistema di combattimento profondo e in cui i tempi di attacco sono fondamentali per capire in quale momento inserirsi, nonché boss talvolta torreggianti e estremamente minacciosi (ma perfettamente affrontabili grazie alla pazienza e allo studio delle movenze di essi);

Il personaggio che controlliamo può passare tra gli stadi “forma umana” e “non morta” (o “spirituale”), a seconda del titolo in questione (ciascuna con i propri pregi e difetti) .

Un grado di mobilità e destrezza indirettamente proporzionale al peso equipaggiato

Un accumulo di anime a seguito dell’abbattimento dei nemici, da impiegare sia come moneta di scambio che per aumentare di livello. Le anime non spese in questi modi sarano perse se verremo sconfitti, ma saranno recuperabili in quel luogo ammesso di arrivarci senza perire una seconda volta.

Non esistono stati precedenti di salvataggio a cui tornare in caso di morte. Le risorse curative o di altra natura usate o perdute, quindi, saranno perse per sempre.

Ma andiamo a incominciare! Era l’inizio dell’estate del 2010, e in Italia arrivò…

DEMON’S SOULS (2010)

Come già anticipato in apertura, questo per me fu il secondo titolo giocato e portato a termine in seguito a Dark Souls. Demon’s Souls, quando uscì, aveva dalla sua una peculiarità estremamente interessante: era infatti un ibrido singolo e multigiocatore. I giocatori infatti, si trovavano ad affrontare le peripezie in solitaria ma, allo stesso tempo, il titolo rendeva possibile aiutarsi o mettersi i bastoni fra le ruote a vicenda sia in maniera indiretta (tramite i messaggi lasciati sulle superfici) che diretta (invasioni delle partite di altri giocatori per scopi più o meno nobili). Ma tutto questo per me era già “scontato”, in quanto presente già nel suo seguito.

L’armatura del soldato di Boletaria è un cardine dell’immaginario di Demon’s Souls.

Ciò che mi obbligò a cambiare approccio, invece, fu l’assenza di strumenti curativi ricaricabili presso i falò (le Estus, naturalmente) a favore della presenza di oggetti esclusivamente monouso ma facilmente reperibili in vari modi (le erbe). I falò inoltre (punti di sosta che in entrambi i Dark Souls permettono la piena ricarica della vitalità e altre funzioni non meno importanti) erano del tutto spariti, lasciando il posto alle Arcipietre.
Esse sono ben meno numerose, in quanto si limitano a scandire la divisione in sotto-sezioni dei cinque grandi livelli esplorabili del gioco. Vi è inoltre la “novità” della Tendenza, che si sposta verso il bianco o il nero per ciascun mondo (determinando l’aggressività dei nemici e l’accesso a determinate aree e contenuti) a seconda dell’esito delle nostre scorribande. Ma torniamo un attimo alla frase precedente riguardo i luoghi e le “sezioni”: Demon’s Souls, infatti, presenta una struttura molto pratica e affascinante al tempo stesso, in cui le Arcipietre non sono altro che il punto di congiunzione fra una destinazione precisa e il Nexus.

Il Nexus è un luogo in cui tutti i giocatori finiranno presto e con cui dovranno convivere. Si tratta di una struttura imponente, in cui sono presenti cinque Arcipietre (più una sesta rotta) e i personaggi “base” a cui si aggiungeranno quelli che andremo a recuperare man mano durante le nostre avventure. Alcuni di essi ci permetteranno di mettere da parte gli oggetti recuperati (fondamentale in quanto sia il peso attivo che passivo avranno conseguenze sulla nostra mobilità), riparare armi e armature (altrettanto importante), aumentare di livello grazie alla Fanciulla in Nero e altro. Ma questa è solo la funzione che il Nexus ha nel gioco in sé, e io non sono qui per insegnare. Vorrei infatti puntare l’attenzione sul fascino che esercitò su di me tale struttura. Prima di farlo, tuttavia, tengo a precisare come Demon’s Soul annoveri dei personaggi ben studiati e perennemente coerenti con loro stessi. Ascoltare i loro dubbi, i loro timori e dichiarazioni sarà fonte di indizi preziosi al fine di farci un’idea degli eventi passati e in corso.

Non lasciatevi intimorire. Studiate i vostri nemici.

Tornando al Nexus: esso è, come già detto, imponente, e si sviluppa verso l’alto in maniera vertiginosa. L’atmosfera calda (data dalla presenza di personaggi in grado di aiutarci) e fredda allo stesso tempo (data dalla pietra plumbea) mi comunicano tuttora una sensazione piacevole ma agrodolce, paragonabile al sapore pungente dello zenzero. Il Nexus è davvero sicuro? Che c’è la fuori? E perché tocca proprio a noi correre mille pericoli per rattoppare il disastro che ha mandato in rovina Boletaria? Chi è il vero responsabile? Da dove vengono davvero i demoni? Siamo consenzienti o obbligati a fare tutto ciò? Queste domande vi frulleranno nella testa più volte sino alla fine.

Il Nexus, di fatto, è un cronotopo, ovvero un (non) luogo senza tempo. La luce è sempre uguale, e i personaggi e le azioni da compiere al suo interno costanti. E là fuori? Le minacce, i pericoli, i sotterfugi e l’ignoto. L’unica certezza è che “Non puoi fuggire dal Nexus”. Tuttavia, allo stesso tempo, esso si rivelerà un luogo fondamentale per le ragioni esposte sopra, ed è sempre bello tornarci dopo aver sconfitto un demone per “sbrigare le faccende” in tutta tranquillità. Poi però ci si ricorda che presto dovremmo lasciare nuovamente quel luogo, senza la possibilità di lasciarcelo davvero alle spalle. Insomma: è stata davvero una bella trovata.

Il Nexus è senza dubbio affascinante.

In conclusione, vorrei precisare come ciascuno dei territori che sono andato ad affrontare ed esplorare non solo mi sia piaciuto, ma mi abbia anche “convinto” (la stessa cosa vale anche per i personaggi e i dialoghi loro affidati). Che cosa significa? Che chi di dovere è riuscito a rendere il tutto estremamente coerente e allo stesso tempo appagante da esplorare scoprire e ammirare. Una caratteristica, questa, che ho scoperto solo in seguito quanto fosse davvero legata alla direzione di Hidetaka Miyazaki (senza nulla togliere a tutti coloro che hanno partecipato al progetto rendendolo possibile, naturalmente). Nulla è fuori posto, e tutto è stato realizzato e disposto con cura (boss e relativi temi musicali, alcuni decisamente azzeccati, compresi). A propoito di boss: fra tutti, quelli che mi sono rimasti più impressi sono Falso Idolo, il Cavaliere della Torre e Vecchio Eroe.

Prima di passare al prossimo titolo, tengo a precisare come io mi sia deciso ad acquistare e giocare per intero Demon’s Souls qualche mese fa grazie all’approfondimento di Giuseppe al riguardo (che ho avuto il piacere di conoscere e che saluto). A lui vi rimando nel caso vogliate approfondire di più la primissima tappa della saga dei souls. Ma ora passiamo a…

DARK SOULS (2012)

Questo fu il mio primo Souls provato e abbandonato rabbiosamente, ma, come anticipato, recuperato in seguito e portato fino in fondo. Fu il primo capitolo della saga anche per molti altri giocatori, in quanto venne trasposto anche per Xbox360 e persino Pc (ma reso “accettabile” per questa piattaforma solo grazie al file dll correttivo di Durante). Fu proprio grazie a questo capitolo che riuscii a entrare nell’ottica dei “souls” in maniera definitiva, riuscendo pian piano a farmi strada tra le minacce presenti.

Il filmato introduttivo di Dark Souls è sempre notevole.

Rispetto al precedente, FromSoftware optò per una scelta coraggiosa e piena di insidie, ovvero la realizzazione di una struttura del mondo totalmente interconnessa, senza abissi spaziali e caricamenti (con pochissime eccezioni e comunque largamente giustificate). Il risultato fu un mondo ricco di varianti quanto Demon’s Souls, ma sempre e comunque profondamente coerente, coeso e che mai annoverava elementi inseriti in modo arbitrario.

Più di una volta mi sono stupito sinceramente nello scoprire come un passaggio o un ascensore mi aveva appena riportato in luoghi già esplorati, quasi per magia. E invece non c’è trucco e non c’è inganno: Lordran è davvero studiata al millimetro, e merita solo grossi elogi e nient’altro. Inoltre, la struttura aperta dell’area è orchestrata in modo da non lasciare dubbi riguardo la prossima destinazione senza precludere ai più coraggiosi e veterani un po’ di libertà. Un obiettivo, questo, che era tutt’altro che semplice da raggiungere. Siete alle prese per la prima volta con Dark Souls e vi rendete conto che i vostri attacchi non sortiscono praticamente effetto sui nemici? È un messaggio chiaro e tondo: “Sei proprio uno zuccone! Eppure te l’ho detto dove devi andare. Sei nel posto sbagliato, vade retro”.

Come dite? Che cos’è Lordran? Scusate, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo. Or dunque, andiamo con ordine: essa sarà la terra in cui approderemo subito dopo una parentesi ricollegabile a un vero e proprio tutorial (già presente nel prologo di Demon’s Souls stesso) ambientato in una piccola roccaforte. È stata il teatro di diverse peripezie, in particolare della guerra contro gli antichissimi draghi da parte di più forze congiunte (come si intravede benissimo dal filmato introduttivo e contro cui dovremo, prima o poi, combattere). Gli umani rimasti sono tutti ormai dei non morti che hanno perso il senno, con pochissime eccezioni (eccezioni, tra l’altro, giustificate appieno). Il nostro compito iniziale sarà quello di suonare due campane poste in luoghi differenti, per poi andare a caccia di quelle quattro entità sopracitate (e sarà una bella avventura). So che ormai il gioco è stato sviscerato da molti utenti e non solo, ma preferisco tenermi sul più vago possibile nel caso ci sia qualche curioso ancora ignaro.

Tutto inizia da qui. Notare la differenza di animazione tra pg maschili e femminili (come in questo caso).

Il primissimo boss che affrontai nel gioco durante il tutorial nella roccaforte (Undead Asylum) mi insegnò una lezione fondamentale: se un demone è da solo non può guardarsi le spalle. Se è grosso e lento, beh, ancora meglio. La cosa più importante è tenere sempre da parte un poco di stamina per sgattaiolare via, e non essere avidi a menare fendenti (e questa è una regola d’oro, poiché gli impulsivi non vanno da nessuna parte nei “souls”). A proposito di boss: proprio come in Demon’s Souls, essi sono risultati sempre sorprendenti e perfettamente coerenti con il luogo in cui si trovavano. Tra tutti, mi sento di fare una menzione di onorificenza per Sif, Ornstein & Smough e Queelag (oltre ai “Big Four”, naturalmente). La colonna sonora firmata dall’autore Motoi Sakuraba (dalla carriera, senza mezzi termini, leggendaria) accompagna proprio questi scontri, riuscendo a distribuire cacofonie orchestrali (che suggeriscono timore, panico e ignoto) con arrangiamenti ben più elaborati e a dir poco memorabili. Sif, ebbene sì, si merita anche una seconda nomina proprio in questo senso, in quanto Sakuraba è riuscito a condensare la complessità di questa entità giocando con cambi improvvisi di intensità, brevi parentesi di pace e poi, di nuovo, fiumi ribollenti di dramma.

Non sono solo i cattivoni ad essere memorabili, ma anche i personaggi più o meno eccentrici che andremo ad incontrare. Anche questa volta, sono riusciti a rendere ciascuno di loro efficace e riuscendo addirittura a rendere uno di essi a dir poco virale: sto parlando, naturalmente, di Solaire, contraddistinto dal suo amore verso il sole (e che serberà anche una sorpresa ai più curiosi). E come scordare il bellissimo Siegmeyer of Catarina (“Excuse me, I was absorbed in my thought”)?

In Dark Souls tutto è possibile. Anche vestirsi da Nazgûl e imbracciare una mazza gigante.

Abbiamo già trattato della presenza dei falò (che permettono il recupero dei punti vita, avanzamento livello e altro) senz’altro più numerosa delle Arcipietre di Demons’ Souls, nonché della possibilità di curarsi attraverso le fiaschette Estus (ricaricabili e potenziabili sia in numero che qualità proprio attraverso di essi) qualche paragrafo fa. Quindi, per concludere, tengo a precisare come Dark Souls sia riuscito, pur apportando modifiche sostanziali al tutto, a rimanere fedele allo spirito del predecessore, garantendo qualità e costruendo un intero mondo interconnesso con successo e senza forzature. Lo ritengo personalmente tutt’oggi il migliore dei modi per entrare in contatto con questa saga.

A questo punto, dopo aver completato Dark Souls e Demon’s Souls in quest’ordine, ne rimaneva solo uno da giocare e portare a termine.

DARK SOULS 2 (2014)

Facciamo un piccolo ripasso: Dark Souls 2 fu il capitolo con cui iniziai a capire che, forse, stavo iniziando a ingranare e a fare mie le meccaniche strettamente legate a questo filone videloudico. Quindi decisi di dedicarmi al primo episodio, e in seguito a Demon’s Souls. Quando finalmente tornai su questo capitolo mi ero completamente scordato il fatto che Hidetaka Miyazaki non avesse, di fatto, partecipato a questo progetto. Si dice che ne fosse il supervisore, ma la verità è che lui era a fare altro: Bloodborne, per la precisione. Purtroppo fu il gioco stesso a ricordarmi di questo dettaglio. In Dark Souls 2, infatti, mancava qualcosa. Gli elementi dei Souls c’erano tutti? Solo in apparenza. Mancava una cosa fondamentale che, a quanto pare, solo Miyazaki era finora riuscito a instillare nei suoi giochi: la coerenza e la profonda cura per ogni cosa.

A scanso di equivoci, tengo a precisare come Dark Souls 2, preso a sé, sia tutt’altro che un brutto gioco. Gli scorci godibili non mancano, ma non mancano neppure delle brutture e dimostrazioni di grande superficialità che mai avevo scorto nei precedenti. Anche a costo di risultare, devo ammetterlo, un po’ arrogante, non posso fare a meno di considerare personalmente la valutazione di questo esponente della saga alla pari dei predecessori un errore di valutazione abbastanza grave (e un insulto al contributo ai lavori passati di Miyazaki stesso). Nell’edizione Scholar of the First Sin da me giocata, in particolare, vi troverete a passare, per esempio, da un cielo “tramonto d’estate” a un “mattinata tersa di primavera” in poche centinaia di metri (che diventano, come nell’immagine qui sotto, chilometri interi per pura magia!). La domanda sorge spontanea: perché? E perché nella Bastiglia è sempre notte? Ma queste sono inezie, e andrò al cuore dei veri problemi riscontrati di seguito.

Insomma, tornare su Dark Souls 2, alla luce della mia esperienza con DeS e DaS, mi fece davvero una gran brutta impressione che mai mi sarei aspettato (dopotutto stavo tornando al titolo che mi aveva di fatto avviato alla loro totale rivalutazione!) e che mi sono trascinato sino alla fine. Mi piace pensare, inoltre, che se Miyazaki fosse davvero entrato in contatto con quello che stavano combinando avrebbe probabilmente buttato tutto dalla finestra per ricominciare da capo (cosa che, tra l’altro, ha fatto una volta visionato il frutto dei lavori su Dark Souls 3 avviati in sua assenza!).

Quello che vedete in alto a sinistra è inequivocabilmente il monumento di Majula, ed è raggiungibile in appena un minuto e mezzo circa correndo. Qualcosa non torna.

Il fatto che Dark Souls 2 non fosse opera del famoso game designer giapponese, in fondo, era chiaro sin dall’inizio. Anzi, sin dal filmato introduttivo. In esso si compie un errore fondamentale: ci si focalizza sul protagonista, e non sull’ambiente e le vicissitudini di dove andremo a finire. “Poverino il protagonista che aveva moglie e figli”. “Poverino il protagonista che è stato maledetto e ora deve andarsene”. “Poverino il protagonista che non sa più camminare e finisce con la faccia nel fango”. Insomma, tutta l’attenzione è concentrata su di voi, sul personaggio che andrete a impersonare. Nulla ci viene mostrato del luogo in cui andremo, fatta eccezione per uno scorcio notevole del Castello di Drangleic che, però, ci viene presentato come “l’ingresso di Drangleic” (che è un po’ “diversino” e, forse, ingannevole?). La cosa davvero importante, tuttavia, è il fatto che non ci viene presentata nessuna delle minacce chiave che dovremo affrontare. E la ragione è molto semplice: perché Dark Souls 2, in fondo, non è altro che una commistione di luoghi e attori appiccicati uno all’altro, ma che non riesce mai ad avere una vera coerenza di fondo. Come già anticipato, gli scorci più che gradevoli non mancheranno, ma fra le cose che Miyazaki (di cui ho capito la vera importanza del suo contributo solo a causa di Dark Souls 2) è riuscito a farmi intendere c’è il fatto che non basta che una cosa sia bella da vedere: per essere completa, infatti, deve essere ben curata e, allo stesso tempo, avere senso. La mera bellezza estetica di un panorama o altro è infatti solo fine a sé stessa.

Ma passiamo all’azione di gioco: non appena avremo superato il tutorial di rito, l’Araldo (la Fanciulla in Nero rapita da Demon’s Souls, totalmente “struccata” e con un guardaroba nuovo) ci dirà subito che ci sono quattro grandi anime che dobbiamo recuperare prima di poter incontrare il Re. Proprio così, di punto in bianco. Terribile. E saremo costretti pure tornare da lei tutte le volte per aumentare di livello (mentre nel titolo precedente, anch’esso a esplorazione libera, qualsiasi falò andava benissimo). A questo punto non ho potuto fare a meno di pensare come questa “macro-missione” fosse stata presa pari pari dal capitolo precedente (tra l’altro schiaffataci in faccia subito, senza cura e una vera contestualizzazione). E chi sono queste quattro grandi anime? Non ci sono state presentate in nessun modo perché (oltre ad essere piuttosto anonime) ben tre di questi boss non sono altro che rivisitazioni di alcuni presenti nei capitoli precedenti (talvolta pescati tra quelli decisamente meno memorabili, tra l’altro). Il primissimo scontro con un boss sarà proprio con uno di questi quattro e, se avete giocato ai titoli precedenti, lo troverete probabilmente una delusione.

Qui siamo al “Poverino il protagonista che aveva moglie e figli”.

L’unico che si salva da questo scempio è senza dubbio Freja, che però presenta un altro problema dovuto a una decisione totalmente arbitraria, senza senso e soprattutto senza precedenti né nel titolo in questione né nella saga. Una volta sconfitto, infatti, dovremo toccare un simbolo per terra. Non lo hai fatto? Che peccato. Ora devi tornare indietro in quel punto (a piedi, perché qualcuno ha pensato bene di togliere il teletrasporto verso i falò dei boss), sennò il gioco non tiene conto della sua anima e non puoi andare avanti! Sia chiaro: io non ebbi problemi a capire e effettuare questa operazione, ma si tratta comunque di un’aggiunta completamente senza ragion d’essere in quanto non presente per gli altri tre “VIB”.

Sempre riguardo i cattivoni con la barra della vita larga, inoltre, abbiamo addirittura dei casi di incoerenza estestica a livello qualitativo. Ovvero, in parole povere, alcuni di essi sono realizzati talmente male da non c’entrare niente con la qualità riscontrabile altrove. L’esempio perfetto in questo senso è la scorpionessa Najka (o anche Mytha, volendo) che, oltre ad essere praticamente inguardabile, si rifà a un boss ben più affascinante e meglio realizzato in precedenza: Queelag (Dark Souls). Personalmente ritengo che arrivare a usare la “crosta” di alcuni esseri mostruosi (come accade anche per l’Autorità Reale dei Topi che si rifà all’immenso e infinitamente più memorabile Sif) e svuotarli d tutto ciò che era buono solo per riciclare e risparmiare tempo, arrivando addirittura a ledere gravemente pure la qualità estetica, sia un’operazione tutt’altro che encomiabile. Vi sono addirittura dei casi, pochissimi per fortuna, di copia/incolla letterale (e, allo stesso tempo, alcuni boss di Dark Souls 2 vengono riproposti talvolta semplicemente in numero diverso). La volete sapere una cosa divertente? I boss più curiosi sono quelli di importanza totalmente secondaria: Dragone Guardiano, Demone del Canto, Lord degli Scheletri e qualcun altro. Vi è una cosa che manca totalmente rispetti ai titoli precedenti però: parlo di quegli scontri che mi obbligarono a mettere da parte tutte le presupposizioni accumulate fino a quel momento in materia di boss fight al fine di affrontarli con successo.

Dark Souls 2 ha perso quella sensazione perenne di “pesantezza” del personaggio. Anche le animazioni delle capriole sono risibili in confronto al passato.

 

Ma passiamo all’argomento “mappa”: il territorio da noi esplorabile è di concezione “aperta”, ma allo stesso tempo ha una evoluzione che potremmo definire “a stella”. I luoghi, infatti, non saranno mai legati tra loro tranne rarissimi casi. Queste eccezioni, tuttavia, sarebbe stato meglio che non fossero mai esistite, visto che molto probabilmente scoprirete di essere diventati matti solo per tornare in un punto che avevate già visitato prima. L’utilità di queste scorciatoie è di fatto inesistente, in quanto in Dark Souls 2 i falò (oltre ad essere disposti a volte un po’ “a caso” e molto vicini) fungeranno da vero e proprio teletrasporto tra loro fin dall’inizio.

La struttura molto meno centralizzata ha dato tuttavia luogo ad aree molto belle a vedersi, ma allo stesso tempo chi di dovere non è stato in grado strutturare il mondo di Dark Souls 2 (e i compiti che dovremo svolgere) in modo da non lasciare spazio a dubbi. Vi ricordate quell’operazione sopraffina effettuata in Dark Souls per cui era praticamente impossibile non capire la direzione giusta senza che si arrivasse a usare una segnaletica stradale? Tutto svanito! Puff! Mentre giocavo a Dark Souls 2, infatti, non potevo fare a meno di chiedermi in continuazione dove diavolo stessi andando, se fosse la direzione corretta o se stessi perdendo tempo per una robaccia secondaria. Mi è infatti capitato, dopo aver sconfitto un boss, di trovarmi in un vicolo cieco o parlare con un personaggio totalmente estraneo alla trama principale.

Insomma, Dark Souls 2 rispetto al predecessore non fa tesoro praticamente di nulla, e porta con sé molta confusione che è andata a intaccare addirittura i momenti di svolta. Più di una volta, infatti, mi sono trovato a chiedermi: “E adesso?”. E quando finalmente capivo cosa dovevo fare era più lo sbigottimento che il sollievo a invadere i miei pensieri. Nella mia esperienza, inoltre, è subentrata una variabile che di cui non si era mai manifestata neanche l’ombra mentre ero impegnato coi titoli precedenti: il menefreghismo. Perché sono qua? Perché mi devo fare il mazzo? Che vogliono tutti? Ma soprattutto: perché questi non parlano chiaro? Anzi: perché i personaggi non mi dicono niente? Più di una volta sono infatti tornato dall’Araldo convinto che avrebbe potuto darmi un indizio. Stolto me! Ad attendermi nel momento del bisogno, infatti, c’era sempre la stessa frase beffarda udita qualche ora prima.

Questo luogo suggestivo racchiude una delle sezioni più frustranti di tutto il gioco: acqua e abissi letali; eserciti di maghi dalla gittata chilometrica, mana inesauribile e dardi a ricerca (alleati con nemici subacquei superveloci); andatura rallentata a casa dell’acqua. No ma Dark Souls 2 non è difficile solo per il gusto di esserlo, che scempiaggine.

Rispetto al passato, inoltre, non sono riuscito ad affezionarmi ad alcun personaggio. Anzi, a quanto pare sono riusciti addirittura a farmeli insultare prima ancora di vederli in azione: talvolta, infatti, li troveremo in forma pietrificata a ostruirci il passaggio. Per farli tornare in forma umana dovremo utilizzare una radice rara di cui onestamente non ricordo il nome (perché io non ricordo quasi nulla di questo gioco, e i nomi dei boss me li sono dovuti cercare). Ma non è scarsa memoria: ricordo tuttora, infatti, buona parte dei nomi dei luoghi e personaggi di Demon’s Souls e Dark Souls, mentre di questo non mi è rimasto quasi nulla di impresso. Tutto mi passava davanti, senza davvero coinvolgermi (riuscendo, al massimo, a strapparmi qualche costellazione di parolacce). In compenso, ricordo perfettamente quel poco che so di Bloodborne (mai giocato, vorrei sottolineare).

Degne di menzione, inoltre, sono le tre occasioni (Il Putrido, Dragone Guardiano e Velstadt) in cui, per raggiungere il rispettivo scontro importante, sono stato di fatto costretto a correre come un forsennato senza fermarmi scartando tutti i nemici. Pena l’usura delle armi acceleratissima (una novità di Dark Souls 2) e, soprattutto, la mia inevitabile dipartita. Mai questa cosa era accaduta in precedenza, poiché chi aveva in mano le redini del progetto sapeva quello che faceva sino in fondo. Sapeva, soprattutto, che la cosiddetta difficoltà punitiva dei Souls in realtà era una leggenda metropolitana, che tutto era fattibile a patto di giocarsi bene le proprie carte, studiare bene il nemico e giocare di astuzia. Qualsiasi elemento che introduce una difficoltà artificiosa è assolutamente fuori posto, ed è soprattutto ingiustificabile. Vi sono inoltre delle aree che ho dovuto rifare più e più volte (rese più accettabili solo dai respawn limitati dei nemici rispetto al passato) che sono state sia una grossa delusione che una grande prova per la mia pazienza. E come dimenticare le compagini di statue di pietra ornamentali munite di fotocellula microscopica a lungo raggio che vomitano veleno superpotente addosso a chiunque passi davanti? Per carità, si possono rompere, ma io stavo perdendo la ragione. Senza contare, inoltre, che qualche genio della lampada ha pensato bene di inserire dei nemici praticamente invisibili e altri in forma di spirito non “agganciabili” (e speriamo per il suo bene che Miyazaki non scopra mai la sua identità).

Mi rendo di esserci andato giù pesante, ma Dark Souls 2 mi ha deluso talmente tanto da ritenerlo quasi un “titolo illegittimo”, ovvero che è indubbiamente parte della saga ma, dal punto di vista se vogliamo “intellettuale”, assolutamente no. Dopo essermi reso conto dell’assenza di Hidetaka Miyazaki proprio a causa delle brutte impressioni avute giocandolo, mi sento di concludere come più che mai a fare la differenza siano state le sue “tirate d’orecchie”, che hanno reso Demon’s Souls e Dark Souls ciò che sono: titoli profondamente votati alla fantasia ma allo stesso tempo in grado di catturare l’attenzione e risultare ben studiati ed estremamente godibili.

Un esercito delle statue sopracitate, nemici striscianti, vermoni giganti pronti a spingervi giù e uno spettro rosso vi aspettano. Giusto prima di un boss infimo con tanta vita, resistenza, velocità e potenza di attacco (circondato da pozze di fuoco). Auguri!

Dark Souls 2, rispetto ai precedenti, riesco a identificarlo solo alla stregua di un parco a tema, privo di una vera coerenza e struttura d’insieme. Per quanto ci abbia provato, reputo questo titolo un passo falso di FromSoftware rimastomi decisamente sullo stomaco. Tuttavia, è bene ribadirlo di nuovo, Dark Souls 2, preso come gioco in sé, non è da buttare via. È altrettanto vero, però, che è impossibile trattarlo senza chiamare in causa gli altri esponenti della saga (considerando anche il breve scarto di tempo tra di loro).

In conclusione, tengo a ribadire come tutte le mie considerazioni e conclusioni riguardo il peso di Hidetaka Miyazaki e del suo contributo a Demon’s Souls e Dark Souls siano esclusivamente da attribuirsi a quella che potremmo definire una “presa di coscienza”, maturata proprio giocando i tre capitoli per intero. Ero infatti convinto che tutte quelle caratteristiche che mi avevano colpito fossero da attribuirsi più ai giochi in sé che al suo lavoro di direzione. Dark Souls 2, purtroppo, mi ha fatto capire che mi sbagliavo.