Intervista a Thalita Malagò (segratario generale AESVI) su PEGI e stato dell’industria videoludica

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La settimana scorsa (giovedì uno ottobre), come in molti sapranno, l’AESVI, ovvero l’associazione di categoria che promuove l’industria videoludica, ha avuto un importante incontro con il mondo politico a Montecitorio presso la commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Abbiamo, dunque, rivolto alcune nostre domande all’associazione che ha risposto per voce di Thalita Malagò (nella foto), segretario generale di AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani). Abbiamo chiesto innanzitutto sulle sensazioni avute da questo incontro e di come rendere efficace il PEGI, ossia il sistema di classificazione dei videogiochi e di farlo conoscere più in profondità.

Ma abbiamo parlato anche dello stato di salute dell’industria videoludica nel nostro Paese e delle sue possibilità per il futuro.

Ecco la nostra intervista. Buona lettura.

Che sensazione avete avuto da questo primo incontro con il mondo politico?

La sensazione è positiva. Per anni la nostra Associazione ha promosso il Games Forum, un evento dedicato ai videogiochi alla Camera dei Deputati, con l’obiettivo di migliorare la conoscenza del settore presso le istituzioni. Questa volta a promuovere un evento di questo tipo è stata un’istituzione politica, la Commissione Cultura della Camera dei Deputati, e questo a nostro avviso è, comunque lo si voglia leggere, un segnale di attenzione e di apertura verso il mondo che rappresentiamo.

Avete parlato del PEGI anche perché non tutti lo conoscono, che reazioni hanno avuto i componenti della commissione Cultura della Camera, ne avevano già sentito parlare al di la delle scarse informazioni apprese da alcuni articoli (incompleti) della stampa generalista?

In realtà il PEGI è molto più conosciuto di quanto si pensi. Il problema è che il livello di conoscenza è in genere abbastanza superficiale, perché si tratta di un argomento piuttosto tecnico. In questo senso l’intervento di un rappresentante dell’organizzazione europea di riferimento è stato utile per far capire come funziona il sistema e con quale serietà e competenza venga gestito. Con l’occasione è stata anche presentata una recente iniziativa molto importante per l’evoluzione del mercato: la recente costituzione dell’International Age Rating Coalition (IARC), una coalizione degli enti che si occupano di classificazione dei videogiochi nel mondo, PEGI compreso, con l’obiettivo di fornire un processo simultaneo di assegnazione del rating a livello globale per i videogiochi digitali e per le app mobile.

Il PEGI, in Italia non è obbligatorio, sarà supportato istituzionalmente?

Questa è naturalmente una decisione che non spetta a noi, come industria, ma alle istituzioni. Per noi supporto istituzionale non significa solo e necessariamente riconoscimento legislativo, ma significa prima di tutto riconoscimento del valore del PEGI e supporto nella diffusione della sua conoscenza rispetto alle famiglie e ai genitori.

Il riconoscimento del PEGI a livello legislativo da solo non può bastare. Quali sono gli altri mezzi per supportare effettivamente e concretamente il sistema di valutazione?

La nostra convinzione è che questo tema debba essere affrontato non sul fronte delle leggi e dei divieti, ma su quello molto più strategico dell’educazione. Il terreno su cui si dovrebbe agire in via principale è l’asimmetria informativa che spesso esiste tra genitori e figli in materia di videogiochi. I genitori dovrebbero essere consapevoli delle opportunità e anche dei possibili rischi connessi all’utilizzo di videogiochi non adatti all’età dei loro figli, al fine di esercitare la loro responsabilità parentale in modo informato. 

Avete pensato a degli incontri pubblici per parlare di PEGI e di approccio corretto ai videogiochi?

Abbiamo portato avanti diverse iniziative di questo tipo negli ultimi anni, ma evidentemente il “problema” che sta alla base delle polemiche che in modo ciclico coinvolgono il settore è molto più ampio e riguarda l’accettazione del videogioco come prodotto culturale. Questo è un processo che ha riguardato diversi media prima di noi: pensiamo soltanto alle interrogazioni parlamentari degli anni ’70 sul cattivo influsso di Goldrake. La realtà è che il videogioco è espressione della cultura contemporanea e come tale dovrebbe essere trattato, al pari di film, musica o libri. 

In questo periodo si sta notando sempre più il fermento italiano per lo sviluppo dei videogiochi, quali sono i vostri suggerimenti per supportare questo settore?

Lo sviluppo di un’industria nazionale potrebbe essere sostenuto attraverso diversi strumenti, come ad esempio un rafforzamento delle politiche di internazionalizzazione del settore, l’introduzione del tax credit per la produzione di videogiochi in Italia, come già avviene in Francia e in Gran Bretagna e l’inclusione del settore dei videogiochi nelle politiche di investimento del settore pubblico e privato. Una delle difficoltà principali dei game developer italiani è, infatti, che la stragrande maggioranza di loro si autofinanzia e solo una piccola percentuale riceve finanziamenti pubblici e/o privati. 

Come descrivereste la situazione attuale italiana del settore, sia a livello consumistico che produttivo?

Dal punto di vista dei consumi, l’Italia è un mercato interessante, con un giro d’affari che nel 2014 ha superato i 900 milioni di euro. Dal punto di vista della produzione, invece, la situazione è molto differente, al momento. In Italia nel 2014 abbiamo registrato la presenza di oltre 100 studi di sviluppo su tutto il territorio nazionale, ma il fatturato prodotto è ancora poco rilevante, soprattutto se comparato con altri paesi europei dove l’industria dei videogiochi ha un livello di sviluppo maggiore. 

Emergono alcune eccellenze anche a livello internazionale capaci di portare il Made in Italy in alto ma l’universo indie è sempre più vasto ed in espansione. Quali suggerimenti per chi vuole entrare nel mondo degli sviluppatori?

Il primo consiglio in assoluto è quello di ragionare fin da subito in un’ottica professionale. Un conto è sviluppare un videogioco come passione, un conto è farlo per sviluppare una professione o per costituire un’impresa. E’ importante frequentare i corsi di formazione giusti (che oggi fortunatamente esistono anche in Italia), partecipare agli eventi business di settore sia nazionali, che internazionali (segnaliamo a questo proposito l’Italian Game Developers Summit in programma anche quest’anno come evento parallelo a Milan Games Week il 21 e il 22 ottobre a Milano), fare delle esperienze sul campo magari anche all’estero.

Cosa vi aspettate per il futuro? 

L’auspicio è che le istituzioni siano disposte a conoscere sempre meglio il settore dei videogiochi e a riconoscerlo degno della stessa considerazione di altri settori maggiormente conosciuti come i film, la musica o i libri. Siamo infatti convinti che l’industria dei videogiochi possa contribuire in diversi ambiti a supportare la crescita economica del Paese: la scuola, attraverso l’utilizzo dei videogiochi nei contesti educativi; lo sviluppo di videogiochi applicati a finalità diverse dall’intrattenimento, come nel settore della salute, della cultura o del turismo; il Made in Italy, dove l’Italia ha un ruolo tutto da conquistare come paese produttore di videogiochi nel panorama internazionale.