Kholat, Recensione Pc
L’avventura tra la neve e i ghiacci di Kholat, sviluppata e pubblicata dal team di sviluppo polacco IMGN.PRO, è presente su Steam sin dall’inizio dell’estate scorsa.
Tuttavia questo titolo in prima persona ha da poco annoverato due ulteriori localizzazioni in lingua turca e italiana, realizzate entrambe grazie alla collaborazione con Crewals e FenixTM. La cosa che spicca subito all’attenzione è come questo gioco sia ispirato a un evento di cronaca realmente avvenuto nel non molto lontano 2 febbraio 1959 in Russia.
Tale misfatto è stato battezzato “Incidente del passo Djatlov”, in cui nove escursionisti russi persero la vita durante un accampamento notturno su un fianco della cosiddetta Dead Mountain (“Kholat Syakhl”). L’unico superstite di tale disavventura fu Yuri Yefimovih Yudin, e ancora oggi le teorie riguardo le circostanze alquanto singolari legate a tale disgrazia si susseguono. Ma andiamo a chiudere questa parentesi riguardo lo spunto “storico” di Kholat, anticipando a voi lettori come questo titolo per certi versi promettente in realtà si sia rivelato loffio e mal concepito sotto diversi punti di vista. Ma procediamo con ordine.
TI DERIDONO I MONTI
Non appena avvieremo una nuova partita saremo spettatori di un filmato introduttivo che ci darà delle informazioni riguardo l’incidente sopracitato. Al termine di esso ci troveremo apparentemente nei pressi di una stazione: è tutto innevato, e il luogo è totalmente deserto. Senza avere la minima idea della nostra identità (probabilmente nel tentativo di immedesimare il giocatore), cominceremo a chiederci quale dovrebbe essere la nostra primissima destinazione, e, dopo un poco di perlustrazione, troveremo finalmente la direzione giusta, dando inizio al gioco vero e proprio.
Nello specifico, Kholat si svolge per intero in una zona aperta che vuole essere rappresentativa dei pressi dell’omonimo monte fatidico, e presto ci verranno messi a disposizione gli strumenti fondamentali da sfruttare al fine di portare a termine questa avventura: una bussola, una torcia e una mappa.
Non appena prenderemo in mano quest’ultima non potremo fare a meno di notare come la nostra posizione non venga specificata: tale informazione è infatti delegata all’uso di coordinate e, nel caso di raccolta di documenti sparsi per la mappa, rappresentazioni grafiche specifiche sulla stessa (nonché alcuni elementi di scenario quali rocce). La raccolta di alcuni documenti che potremmo definire “primari”, quindi, si accompagna alla nostra presenza in una mappa aperta tutta a esplorare: è impossibile non ricollegare questa formula al titolo estremamente popolare Slenderman. A differenza di quest’ultimo, tuttavia, Kholat offre senza dubbio un’ambientazione più particolareggiata, ricca e suggestiva, nonché una pagina di diario o testimonianza scritta di altra natura ogniqualvolta ritroveremo uno dei fogli dispersi. Tali documenti potranno essere una ricostruzione del diario di un membro della spedizione, oppure anche legati ad altre sottovicende che il titolo propone e ripone nell’area a nostra disposizione. Oltre a ciò, nel gioco è presente una voce narrante interpretata dal celebre attore inglese Sean Bean, che tuttavia fatica a trovare davvero un posto in una situazione di gioco già eccessivamente estraniante.
BRRR, CHE FREDDURA
Ebbene sì, Kholat, per quanto possa attirare la curiosità dei giocatori grazie alle proprie premesse, risulta sin da subito eccessivamente distaccato rispetto alle tematiche che tratta, cosa che ci ha impedito di farci coinvolgere dalle spire glaciali e pungenti che ci hanno attanagliato sin da subito.
Il nostro orizzonte di attesa, inevitabilmente improntato a quello di un avventura dalle tinte horror, è stato puntualmente smentito dalla realtà dei fatti. Il titolo, infatti, si avvale di strumenti acerbi e decisamente poco originali per stupirci e strapparci un momento di sbigottimento, quali corridoi senza fine, una presenza a noi letale alle costole e incendi “improvvisi”.
Persino l’apparenza della nostra nemesi che ogni tanto ci darà la caccia costringendoci alla fuga è decisamente anonima: una forma antropomorfa arancione semi trasparente, con diramazioni simili a quelle del sistema nervoso. Come farà a portarci al game over? Beh, con una sberla. Che altro sennò?
A questo punto, però, dobbiamo ribadire il fattore legato alla scelta precisa di non poter sapere la nostra posizione esatta in ogni momento.
Per quanto sulla mappa siano segnati i luoghi in cui trovare i papiers principali, infatti, sarà abbastanza facile perdersi.
Sommando il tutto, quindi, abbiamo: una mappa di dimensioni discrete, un sistema di orientamento frustrante e una minaccia più o meno costante alle calcagna. In cima a questi aspetti, infine, adagiamo un approccio narrativo che, molto probabilmente, ci terrà alla larga da qualsiasi forma di empatia o interesse alla vicenda (che, tra l’altro, fa un pastiche di generi tutt’altro che maturo e senza concludere un granché). Degna di menzione, inoltre, è la resistenza scarsa del protagonista alla corsa: ben presto, infatti, la nostra visibilità sarà ridotta ai minimi termini a fronte di uno sforzo eccessivo. Un elemento, questo, che risulta più fastidioso che potenzialmente “immersivo”.
CONCLUSIONI
Kholat purtroppo si dimostra un titolo debole e privo di originalità, come se gli sviluppatori avessero pensato che sarebbe bastato basare il tutto su una tragedia reale per catapultare i giocatori nella (non) vicenda senza troppi sforzi creativi. Inutile dire come questo approccio si dimostri immaturo e inefficace, e a nulla valgono i tentativi goffi di immedesimazione dati dai documenti che ritroveremo. Senza la premessa dell’incidente del passo di Djatlov, infatti, il titolo probabilmente non andrebbe oltre l’etichetta di “clone di…”.
Il fatto di doversi orientare in una zona aperta in balia esclusivamente delle coordinate, per quanto interessante sulla carta, si dimostra fondamentalmente frustrante e poco più (proprio come la diminuzione temporanea significativa delle diottrie del protagonista a seguito di una corsetta). Insomma, Kholat, a parte la premessa legata a un fatto di cronaca verificatosi 56 anni fa in Russia, ha davvero ben poco da offrire e intrattenere. L’unica cosa memorabile (lo scriviamo più per dovere di cronaca che altro) sono alcuni scorci di paesaggio.
Pregi
paesaggi talvolta suggestivi. Localizzazione italiana buona.
Difetti
meccaniche frustranti. La vicenda reale su cui si basa è una “scusa” puerile e poco efficace. Vi annoierete presto.
Voto
5,5