Until Dawn, Recensione PlayStation 4
Otto teenager riunitisi per esorcizzare i tragici eventi avvenuti l’anno precedente in una sperduta baita di montagna, antiche maledizioni indiane e un misterioso maniaco omicida pronto a cacciare per le prossime dieci ore sino all’alba del giorno successivo. Tutti elementi che ﹣ siamo sicuri ﹣ avrete già visto in (almeno) un film horror degli anni ’90.
Vi chiederete allora: dove risiede la novità? Stiamo parlando Until Dawn, un’avventura interattiva alla Quantic Dream, Telltale oppure alla Life is Strange senza dove andare neanche troppo lontani a ritrorso nel tempo.
Con la differenza poi ﹣in particolar modo se paragonata alle proprietà intellettuali di David Cage ﹣ che gli sviluppatori di Supermassive Games hanno voluto narrare una storia di base semplice, ben sceneggiata, con dialoghi, situazioni, location che sì rimandano a luoghi comuni della cinematografia horror (e ne omaggiano parecchi dimostrando di certo un amore profondo per cult quali SAW, Scream, Quella casa nel bosco, ec…) ma per quanto cliché possano essere tali cliché essi non partono mai all’improvviso per la tangente col rischio di scadere nella ridicolaggine, nell’assurdità o addirittura stonare con l’esperienza ludica che potreste sperimentare nel corso della vostra partita. Proprio questa sicurezza del team che ha realizzato Until Dawn permea l’intero gioco e ne diventa forza motrice dall’inizio alla fine.
UNA FARFALLA BATTE LE ALI A PECHINO E SUL MONTE WASHINGTON QUALCUNO MUORE
Il gameplay di Until Dawn è anch’esso erede delle produzioni citate in precedenza: saremo messi di volta in volta nei panni di uno degli otto ragazzi (quattro maschi e quattro femmine) ciascuno nei quali reincarna uno stereotipo ben caratterizzato (il nerd spiritoso, la belloccia stupida, l’atletico fustacchione, la ribelle avventurosa, il figlio di papà riccone e così via) e dovremo periodicamente compiere delle scelte per rapportarci con gli altri e con l’ambiente circostante. Riassunto così non sembrerebbe poi tanto innovativo o coinvolgente.
E invece lo è ﹣ eccome ﹣ perché ogni nostra azione porta a conseguenze tangibili a livello microscopico e macroscopico, nel breve e persino, nella stragrande maggioranza delle volte, nel lungo termine. Il cosiddeto “Effetto farfalla” così tanto enfatizzato sin dalle schermate introduttive del gioco influenza ad esempio come un personaggio è percepito dai compagni e l’evoluzione di alcuni tratti caratteriali a discapito dei restanti. Neache fosse un gioco di ruolo questo meccanismo aumenta l’immersione e può trasformare in potenza personaggi inizialmente “inutili” o mal visti dagli altri in autentici eroi / star dell’avventura.
Ma c’è di più: la scelta di quale sentiero prendere oppure a chi dovrà essere affidata un’arma appena rinvenuta durante una fase esplorativa potrebbero ad esempio provocare la morte di un personaggio. A volte non vi sembrerà così evidente ﹣ almeno finché non vi renderete che è troppo tardi ﹣ altre invece arriverete comunque alla meta designata (perché magari le due strade si ricongiungono poco dopo) mentre altre ancora verrete soltanto ridicolizzati o comunque ve la cavete per il rotto della cuffia poiché l’intenzione degli sviluppatori in quella scena era solo di spaventarvi anziché uccidervi.
Le scelte vanno sempre effettuate entro un margine di tempo prefissato, che diventa più stringente nelle sequenze adrenaliniche d’azione nel quale è richiesto sovente la pressione di un singolo tasto o un piccolo movimento della levetta analogica.
Nessuna contorsione a mo’ di Twister durante la pressione simultanea di millemila tasti oppure imbarazzanti danze mentre si agita davanti il Dualshock 4 come un forsennato. Il peggio che vi verrà chiesto è, invece, di tenere perfettamente immobile il controller per svariati secondi (esercizio che peraltro siamo riusciti sempre a superare con successo tranne ﹣inspiegabilmente e supponiamo causato da un rilevamento errato del giroscopio, troppo sensibile, da parte del gioco ﹣nella scena finale dell’ultimo capitolo decretando così la triste dipartita di uno dei nostri personaggi preferiti).
Oltretutto le morti non sono mai trattate in modo approssimativo o banale ﹣ com’è giusto che sia per un horror ﹣ ma anzi rivelano un attaccamento quasi morboso allo splatter / gore risultando pareccio violente, come se Until Dawn vi stesse prendendo per l’orecchio riprendendovi per il madornale errore commesso. Senza contare che finché non vedrete tali sequenze di morte potrete essere sicuri che il vostro personaggio riapparirà in seguito anche se la scena precedente lo faceva sembrare spacciato.
LA SCIENZA DELLA PAURA
La sottile linea che idealmente separa l’agire / esplorare a tutti i costi contrapposta al ben più semplice “non fare niente” si rivela parecchio sfumata ﹣pensate che a volte abbiamo faticato a dedurre il miglior comportamento per alcune situazioni ﹣ ed è proprio in queste situazioni che bisogna frenare la propria impulsività (non agendo quindi sino allo scadere del timer) o curiosità (non aprendo per forza quella botola da quale provengono rumori sospetti).
Per fortuna Until Dawn non si infierisce troppo su di noi e anzi vi tende la mano: disseminati negli scenari sono (parzialmente) nascosti una serie di totem che, una volta raccolti, avvertono su possibili situazioni o in qualche modo suggeriscono la strada da intraprendere mostrandovi brevi filmati leggermente sfocati a mo’ di visioni. Sta a voi ﹣ e alla vostra interpretazione ﹣decidere come scongiurare o assecondare tali presagi. I totem indiani sono nell’economia del gioco gli unici collezionabili davvero utili.
Esistono poi una serie di indizi (suddivisi per argomenti) che invece fanno luce su parti della storia, presente o passata. Solo la raccolta di due di questi da collezione è necessario a scongiurare il triste destino di uno dei protagonisti ﹣ noi non ci sono riusciti ﹣ che potrebbero arrivare alla fine del gioco tutti vivi, morti o una qualunque combinazione.
I dialoghi in Until Dawn rasentano a volte l’imbarazzante nella scrittura (pur essendo contestualizzati all’interno dell’horror classico con teenager) ma quantomeno a salvare il tutto arriva un buon doppiaggio italiano e un ottima espressività facciale e corporea (merito dell’evidente nonché estensivo utilizzo delle tecnologie di mo-cap e degli attori che hanno prestato i volti, in primis la modella Hayden Panettiere che molti di voi avranno riconoscituto dal telefilm Heroes).
Tecnicamente poi il gioco è forse una tra le migliori produzioni approdate quest’anno su PlayStation 4, basti pensare oltre al già citato lavoro di motion capture dei protagonisti anche gli effetti di illuminazione sia interni che esterni ﹣ cruciali per un titolo che fa uso delle luci come elemento principale delle fasi esplorative ﹣e che anzi in alcuni momenti sembra addirittura eccessivo (mi riferisco alle animazioni dei movimenti degli arti dei protagonisti quando interagiscono con i vari oggetti afferrabili: si ha quell’effetto di plasticosità in stile The Order: 1886 o L.A. Noire).
Un ultimo plauso prima di concludere bisogna attribuirlo alla colonna sonora di Jason Graves (che per chi non lo sapesse ha lavorato parecchie composizioni musicali di videogiochi, in primis la serie Dead Space) che riescono perfettamente a mantenere la tensione e l’adrenalina a livelli elevati, accompagnando ed enfatizzando ogni momento di gioco. Persino la canzone di apertura e chiusura del gioco “O Death” eseguita da Amy Van Roekel vi permette di entrare in sintonia con il leitmotiv di Until Dawn.
Vogliamo infine raccomandarvi ﹣ se, giunti a questo punto, pensate di approcciarvi all’IP di Supermassive Games ﹣di incominciare il gioco disattivando prima l’opzione presente nelle impostazioni per visualizzare la percentuale di giocatori che hanno effettuato questa oppure quella scelta: in questo modo eviterete di farvi condizionare dalle decisioni altrui e la vostra avventura risulterà la più genuina possibile… con tutti i vostri successi e fallimenti del caso!
COMMENTO FINALE
Until Dawn rappresenta chiaramente tutto ciò che le produzioni di Quantic Dream hanno cercato di essere ﹣ fallendo però miseramente nel caso di quest’ultimi ﹣ negli anni passati.
Riesce ad emulare la cinematografia horror moderna dimostrando una chiara comprensione di ciò che in questi film funziona davvero mentre il focus del gioco sulle conseguenze delle scelte del giocatore diventa al contempo snervante e complesso all’interno di una storia semplice ma che alla fine chiude il cerchio senza lasciare buchi nella trama. Il miglior gioco “alla David Cage” non realizzato da David Cage, nonché la miglior avventura horror intereattiva di questa generazione.
Pregi
Le scelte effettuate dal giocatore contano davvero e hanno ripercussioni a breve e lungo termine. Controlli intuitivi e mai davvero ostici o improponibili. Buon doppiaggio italiano. Fedele e rispettoso della cinematografia horror moderna.
Difetti
Dopo averlo terminato in poco meno di una decina d'ore difficilmente vi ritroverete a giocarci se non per curiosità nello scoprire scene e collezionabili non trovati oppure mostrarlo a qualche amico. Eccessiva sensibilità nel rilevamento dei movimenti del giroscopio del Dualshock 4.
Voto
9-