È un tema ricorrente, perfino piuttosto abusato, quello degli zombie. Un tema che però attira le masse, tanto da aver permesso a Techland di essere conosciuta in tutto il mondo, prima con la serie Dead Island e più recentemente con Dying Light che ne migliora alcune caratteristiche, ristrutturando a fondo il fulcro del gameplay, ora più diretto e veloce, apprezzabile soprattutto in compagnia, pur non brillando in qualità assoluta a causa di aspetti ancora una volta approssimativi.
Uno di questi, come analizzeremo più avanti nel dettaglio, è la fluidità del codice di gioco, pensato per le console PlayStation 4 e Xbox One, ma anche per le più avanzate DirectX 11 disponibili su Pc, che proprio su questa versione hanno permesso all’opera forse più importante di questo sviluppatore di ottenere un panorama d’insieme di spessore, a livello di presentazione grafica globale, di condizioni climatiche e di luminosità variabili, non solo in riferimento alle loro precedenti produzioni.
Basterà questo salto tecnico a far parlare a lungo di Dying Light, oppure tali migliorie, se non supportate attivamente da elementi pregevoli lato gameplay, andrebbero ritenute vane? È quello che tenteremo di spiegarvi quest’oggi, dopo aver completato interamente il titolo in versione Pc.
DA INFILTRATO AD EROE AMMUTINATO
Nella città fantasma di Harran la situazione è da tempo degenerata: a causa di una strana e violenta epidemia gran parte della popolazione ha contratto una infezione che li trasforma, se non assistiti medicalmente tramite dei palliativi, in stupidi zombie dall’orribile aspetto.
Pochi i superstiti, peraltro suddivisi in due fazioni, quella che potremo definire Runner ed un’altra, meno altruista e più spietata, i Banditi, il cui scopo è quello di accaparrarsi i rifornimenti medici che di tanto in tanto vengono sganciati in volo dal GRE, una organizzazione che avremo modo di capire e comprendere durante lo svolgersi degli eventi.
Alla disperata ricerca di conoscerne di più sull’accaduto, mentre i sopravvissuti continuano la loro lotta con la vita, anche contro orde di zombie e di notturni – predatori non umani, ben più forti, veloci ed aggressivi dei primi – l’agente sotto copertura Kyle Crane dovrà adempiere alla sua missione, dopo essersi catapultato sul posto: scovare il vero leader di Harran, quindi recuperare dei dati fondamentali per fornire preziose informazioni alla GRE stessa.
È in tal modo, pressapoco, che ha inizio l’avventura in Dying Light, che ci porrà dinnanzi a diverse personalità, amiche e non, per la risoluzione di svariate problematiche, rese tali a causa di un vasto mondo di gioco aperto, pieno di insidie, tra non-morti e costruzioni devastate, alla ricerca di cibo, scorte mediche, beni consumabili, acqua ed oggetti utili alla creazione di armi. Tutti aspetti sui quali torneremo a breve.
Il canovaccio non dà però l’impressione che ci si aspetterebbe da un titolo di questo genere, su cui si è tanto parlato proprio perché prometteva un rinnovamento totale degli action/survival game: messosi alle spalle il prologo, Dying Light non si fa ricordare né apprezzare per la trama, sempre piuttosto banale e superficiale nonostante qualche colpo di scena, o per i personaggi incontrati, caratterizzati in maniera davvero sbarazzina, tentando di rimediare come può a livello di gameplay, fulcro di questa produzione che non si dilunga nemmeno in quanto a longevità: una decina di ore per conseguire le missioni principali e altrettante per quelle secondarie (il nostro timer si è fermato a diciotto ore, Ndr). Non poche ma nemmeno troppe, se consideriamo la dispersione di molti incarichi, che vi costringeranno a spostarvi molto lontano, o magari, come in alcune delle side quest, a vagare in lungo e in largo delle ambientazioni di gioco. Insomma, già soltanto con le premesse si colgono alcuni aspetti poco curati, non ultimo una qualità del doppiaggio (completamente in italiano) a tratti davvero da B movie.
LA NOTTE TI ASPETTA
Perché, dunque, Dying Light ha catturato l’attenzione di molti amanti del genere e non solo? Una delle peculiarità più evidenti è rappresentata dalle fasi parkour, che tanto ricordano Mirror’s Edge e i più recenti Assassin’s Creed: sia che si fugga dai notturni o che si insegua un obiettivo, al giocatore è garantito uno spostamento come mai prima d’ora un action-survival game aveva presentato.
Arrampicarsi sopra gli edifici, sopra le autovetture, sui ponti, attaccando perfino dall’alto, tramite una serie di abilità che andranno sbloccate all’interno del più classico degli skill tree (tre in totale, che portano miglioramenti alla salute, alla forza ed alla agilità).
Tale sistema non fa che rendere più piacevole l’esperienza di gioco, per via del numero di vincoli molto minore rispetto ai tradizionali videogiochi di questo genere, e non è tutto: la variabilità delle condizioni di visibilità, per dirla in poche parole l’alternanza tra giorno e notte, porta Dying Light a mostrarsi sotto una nuova luce, o meglio, a far emergere il suo lato più oscuro.
Se di giorno l’esplorazione si fa quindi indispensabile, tra risoluzione di incarichi e raccolta di oggetti e scorte d’ogni tipo, la notte porta con sé una sostanziale rivoluzione in termini di gameplay: le abilità di forza ed agilità del giocatore vengono raddoppiate e da cacciatore si diventerà una preda. Con gli infetti più forti ed i notturni a darci la caccia, sarà meglio trovare un sicuro riparo in uno dei tanti rifugi disseminati nelle aree di gioco, pena una più che sicura dipartita.
A queste condizioni variabili vanno aggiunte anche quelle prettamente climatiche, con la pioggia e folate di vento a far la loro comparsa di tanto in tanto, grazie alle quali si avverte una sorta di maggior realismo, per quanto fantastiche e mal amalgamate siano le circostanze di gioco.
Fortuna vuole che ci sia tanto da fare in quel di Dying Light, o almeno così sembrerebbe ad una prima occhiata, smentita col passare delle ore: tra progetti di armi da recuperare e poter costruire tramite crafting di oggetti raccolti, looting e ricerca di scrigni e bauli, la strategia di attacco si fa interessante; potremo usare delle trappole, luminose e rumorose, potremo aver la meglio facendo combattere tra di loro gruppi di non-morti, ma non ricorrere ad un sistema di combattimento raffinato, che purtroppo non è nelle corde di questo videogame e, di conseguenza, tanto meno di questo sviluppatore.
Ci troveremo infatti a fare i conti con un combat system mutuato dai vari Dead Island, assolutamente poco fluido, che mal si proietta se accostato a quelle fasi parkour di cui sopra; le animazioni degli attacchi appaiono superflue e superate, mentre emerge l’anima tipicamente splatter del titolo tra smembramenti di zombie e non. Un difetto considerevole, in parte mitigato da un armamentario molto amplio per quantità e possibili creazioni, tra le quali figurano le più classiche delle armi da fuoco – poco raccomandabile il loro utilizzo in ambienti vasti, il rumore attira orde di infetti – che restituiscono un feedback piuttosto acerbo.
Dying Light ha quindi alcuni alti e molti bassi, ma l’azione e la frenesia di alcuni scontri diventano esaltanti a dismisura qualora si approcci il titolo in cooperativa fino a 4 giocatori, tanto meglio se con amici, in modo tale da pianificare l’azione, scambiarsi suggerimenti e fare piazza pulita nel paese di Harran, ben riprodotto nelle sue diverse zone, dai bassifondi alla Città Vecchia, passando per mappe più piccole, come quella delle fogne e della missione conclusiva, idonee nello gettare il giocatore in nuovi scorci di paesaggio che prevedono uno sviluppo verticale pronunciato piuttosto che uno orizzontale.
Da non sottovalutare l’altra modalità disponibile, quella definita Come uno Zombie, che andrà affrontata online e ci vedrà nei panni di un non-morto per braccare altri sopravvissuti e conseguire una caccia come mai così spietata. Un modo alternativo per intrattenersi, così potremmo definire questa piccola ma gradevole aggiunta, che tenta di spezzare un po’ quella monotonia che affiora spesso e volentieri nella modalità Storia, tanto più se deciderete di portarlo a termine in solitaria e di andare a fondo in ognuna delle missioni secondarie.
ESAME NEXT-GEN: C’È TANTO ANCORA DA FARE
Dying Light per Techland non è stato un progetto importante soltanto in termini commerciali, ma anche per l’abbattimento di frontiere tecniche ben evidenziate nei loro precedenti lavori. Ha difatti rappresentato l’introduzione del Chrome Engine 6, l’ultimo motore proprietario del team, che ha portato a diversi miglioramenti in termini di resa delle visuali, quindi di dettagli del mondo di gioco e, come è logico che sia, per goderseli al meglio bisognerà per forza di cose ricorrere alla versione Pc del titolo.
Attenzione, però, i migliori risultati in termini di qualità delle texture, di distanza visiva, dell’occlusione ambientale, così come la possibilità di modificare secondo le proprie esigenze la profondità di campo, si pagano a caro prezzo: dovrete essere muniti di un computer di altissima fascia, ancor più se voleste usufruirne al massimo dei dettagli su un monitor a 144Hz (come abbiamo fatto noi, ndr) che conseguentemente vi porterà a poter gustare Dying Light fino a 144 fotogrammi per secondo reali, con le versioni per console ferme a 30.
Come analizzeremo a breve, raggiungere certi risultati diventa difficile, se non impossibile, a causa della scarsa ottimizzazione del codice, che ancora oggi è interessato da fix e patch che portano, qua e là, piccoli miglioramenti prestazionali e di stabilità.
Proprio per questa ragione, Dying Light non è stato portato sulle vecchie console PlayStation 3 e Xbox 360, che non garantivano sufficiente capacità computazionale al team di sviluppo; lo stesso dicasi per il numero dei fotogrammi per secondo previsto inizialmente su console, prima fissato a 60 e successivamente ribassato ai canonici trenta.
Ma come si comporta Dying Light su PlayStation 4 e su Xbox One? E su personal computer? Iniziamo analizzando in breve la situazione sulle piattaforme di Sony e Microsoft, che in termini di resa finale sono abbastanza simili, pur differenziandosi per alcuni importanti particolari.
Su PS4 si osservano risultati migliori per via della risoluzione nativa a 1080p, con la versione Xbox One interessata da una risoluzione orizzontale dinamica (simile a quella dell’ultimo Call of Duty, per intenderci) che integra un buon filtro anisotropico, molto carente sulla versione del colosso nipponico. Probabilmente perché non c’è stato modo di ottenere risultati soddisfacenti vista la natività dei 1080p. Maggiore è però la nitidezza della versione Sony, grazie ad un anti-aliasing 2X comunque presente su tutte le versioni ma che restituisce risultati altalenanti, e lo stesso dicasi per la distanza visiva, con gli effetti a giocarsela alla pari su entrambe le console: fumo, pioggia, vento.
Con così tanta carne al fuoco, gestire una infinità di modelli, texture ed effetti volumetrici s’è rivelata una grossa impresa per gli sviluppatori, che si sono persi un po’ per strada: su Xbox One il risultato è quello di avere 30 fotogrammi per secondo piuttosto stabili, su PlayStation 4 invece c’è da allarmarsi. Sono continui i cali e l’occhio esperto non può rimanere impressionato da ombre spesso approssimative e texture slavate, che compaiono con frequenza nel gioco.
Su Pc le cose migliorano, ma in virtù della maggior potenza di calcolo degli odierni computer high-end non possiamo ritenerci comunque soddisfatti appieno. Manca l’opzione per regolare l’anti-aliasing, che dovrete quindi forzare dai pannelli di controllo delle vostre schede grafiche, ci sono svariati glitch grafici e bug ancora da sistemare, e se a guadagnarne sono aspetti come una maggior risoluzione delle texture, una distanza visiva importante, una maggior fluidità, va anche detto che la richiesta di risorse hardware è allucinante.
Vi basti pensare che, ponendo ogni dettaglio al massimo e rimanendo fermi ad una risoluzione di 1920×1080, anche con una Nvidia GTX 980 potreste avere un numero di fotogrammi che non va oltre i 30-40 fps.
Come intervenire, quindi? Semplicemente, gestendo meglio le impostazioni che regolano la distanza visiva, aspetto che tra tutti pregiudica in maniera molto pesante la stabilità e la fluidità dell’applicazione. A quel punto, potreste perfino goder meglio degli splendidi effetti di luce, con ombre decisamente più realistiche che su console ed una illuminazione dinamica buona sì, ma non perfetta. Techland ha però svolto un buon lavoro in termini di scalabilità, questo Chrome Engine 6 difatti consente a quasi tutti di poter gustare Dying Light, ovviamente rinunciando a dei dettagli per guadagnare in scorrevolezza.
COMMENTO FINALE
Dying Light potrebbe essere considerato come la naturale evoluzione di quel Dead Island tanto chiacchierato e divertente in compagnia quanto noioso e stucchevole in solitaria. La struttura open world, le interessanti e stuzzicanti fasi parkour, alcune missioni ben concepite, sono gli elementi pregevoli del nuovo lavoro made in Techland, che ancora una volta ha sottovalutato l’importanza di trama e caratterizzazione dei chiamati in causa, o dell’insieme di missioni (secondarie e non) dispersive e tutt’altro che appassionanti da conseguire.
Potremmo considerarlo un lavoro compiuto poco più che a metà, perché è indubbio l’amore e l’attenzione posta nel ciclo giorno/notte o nella realizzazione delle mappe che, seppur con qualche scorciatoia, forniranno più d’un pretesto per essere esplorate in lungo e in largo. Pertanto, se avete apprezzato i precedenti titoli a tema zombie di questo sviluppatore, Dying Light potrebbe fare al caso vostro; in caso contrario, sappiate che senza una buona compagnia e un’ottima dose di pazienza, i titoli di coda potrebbero rivelarsi molto difficili, se non impossibili, da raggiungere.
Pregi
Fasi parkour. Grandezza e bontà, seppur con qualche riserva, delle mappe. Condizioni di visibilità variabili e meteo dinamico. Longevità. Fasi di gioco in cooperativa. Modalità Come un Zombi.
Difetti
Trama banale in tutta la sua durata. Personaggi di gioco dalla caratterizzazione superflua. Troppe missioni poco intriganti e dispersive. Il sistema di combattimento non si è evoluto rispetto a Dead Island. Boss fight finale deludente. A volte, il doppiaggio in italiano appare scadente e forzato. Tanti bug da sistemare e ottimizzazione del codice acerba.
Voto
7
2 commenti su “Dying Light, Recensione Multi”