Dal creatore di Resident Evil, Shinji Mikami, ecco arrivare The Evil Within, attesissimo survival horror in terza persona confezionato da Bethesda Softworks e Tango Gameworks per Pc Windows (su cui si basa questa recensione), PlayStation 3 e PlayStation 4, Xbox 360 e Xbox One.
L’intento dell’ultimo nato in casa Bethesda è quello di scrivere una nuova pagina nella storia dei survival horror, fregiandosi dell’etichetta di “primo costoso progetto per nuova generazione”. Publisher e sviluppatori saranno riusciti nell’impresa?
ESPLORARE I TANTI MONDI DELL’INCUBO
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The Evil Within ci mette al controllo di Sebastian Castellanos, novello detective che viene coinvolto in uno strano caso di eccidio in un ospedale psichiatrico. Da lì a poco si entrerà in una situazione grottesca, sanguinolenta, raccapricciate e tutta la colpa sembra essere addossabile ad una strana entità, palesemente malefica.
Il giocatore, quindi, guida il proprio alter-ego nell’esplorazione e poi nel superamento di livelli che sembrano slegati l’uno dall’altro e non c’è un filo logico apparente tra quel che si fa e ciò che ci si ritrova ad affrontare.
E’ come se il detective Castellanos prendesse coscienza in autentici incubi che sembrano parti della sua immaginazione. Le mostruosità che abitano i luoghi in cui si agisce, infatti, non danno l’impressione di appartenere a questo mondo.
Quindici capitoli con una media di quindici ore per arrivare ai titoli di coda non sono pochi e non è uno scherzo: il gioco c’è, ha tanto da offrire in termini di esplorazione e chiede diverso tempo per essere portato a termine. Basterà a giustificarne l’acquisto?
NEXT-GEN DOVE?
The Evil Within, dopo i tentativi di Zombi U, Outlast, Daylight e pochissimo altro, cerca di rinverdire i fasti dell’horror su next-gen ponendo come fondamenta la nascita sui potentissimi (dicono) sistemi di intrattenimento PlayStation 4 e Xbox One.
Le promesse di un gioco solido, una presentazione tecnica di tutto rispetto e un’esperienza anche tecnicamente interessante si scontrano con la cruda realtà dei fatti. Si ritiene che ad un certo punto, l’evoluzione tecnica portata da certe produzioni (The Last of Us, per esempio, o il recentissimo Ryse) possa indicare un nuovo inizio da cui proseguire quella che, per l’appunto, viene definita evoluzione e che indietro negli anni non dovrebbe tornare.
A quanto pare non sono d’accordo in casa Bethesda e come loro anche tanti altri: The Evil Within si presenta agli occhi del grande pubblico con una grafica “polverosa” e un motore grafico pesante da cui è veramente arduo salvare qualcosa di positivo.
Il protagonista è realizzato a regola d’arte e, anche se le espressioni facciali non sono all’altezza di un L.A. Noire che ha scritto la storia in quel settore, non sono all’altezza di molte altre produzioni. Fa riflettere non poco l’imperturbabile “maschera” del detective di fronte allo sfacelo e al dramma che si compiono a pochi metri dal proprio naso.
Fastidiosi cali di frame-rate non rendono giustizia all’inquietudine portata dai livelli ben disegnati ed ancor più fastidio portano le due bande nere ai margini superiore ed inferiore dell’immagine. “Scelta cinematografica”, dicono gli sviluppatori (non solo di Bethesda ma anche, per esempio, Ready at Dawn per il loro The Order 1886), coperta corta affermiamo noi: la tanto ventilata potenza delle console in questione, per ora, resta tutta un’ipotesi su cui si scontrano le tristi realtà oggettive. I motori grafici confezionati per PlayStation 3 e PlayStation 4 non sono ancora in grado di garantire alto livello di dettaglio e altrettanta fluidità.
A farne le spese è l’esperienza in generale, senza considerare che le conversioni per computer sono molto trascurate e ingiustificatamente difettose. Le versioni PlayStation 3 e Xbox 360 sembrano essere le indiziate principali per questo inspiegabile fallimento tecnico, come se il dover a tutti i costi “costringere” i giochi nuovi sulle macchine vecchie mettesse i freni ai motori grafici.
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Visivamente parlando, The Evil Within dice la sua unicamente sul piano delle ambientazioni: tra le più convincenti ed impressionanti che ci sia stato dato di “visitare” in lunghi anni di carriera videoludica.
Chi vi scrive ha giocato i primissimi Alone in The Dark, ha visto nascere la saga di Resident Evil (arrivando ai titoli di coda dei cinque ufficiali) e si è spolpato Dead Space, ma mai come in The Evil Within si è sentito così a disagio nel bel mezzo di ambientazioni così convincenti, impressionanti (lo ribadiamo) e che trasmettono molta inquietudine, esattamente come se fossimo in un vero incubo dell’orrore.
NUOVO GIOCO, VECCHI STAMPI
The Evil Within non si smentisce neanche mentre lo si gioca: il titolo che ricorda di più è certamente The Last of Us, con cui condivide il punto di vista della telecamera, vagamente la gestione dell’inventario e soprattutto la fase di infiltrazione. Qui non c’è traccia di “senso del ragno”, “sonar”, “occhio dell’acquila” che dir si voglia ed è tutto limitato a quel che la telecamera può inquadrare, quel che le casse audio possono riprodurre, ma accovacciarsi e nascondersi dietro un riparo, afferrare una bottiglia di vetro e gettarla lontano per distrarre i nemici ci ha fatto interrogare sulla possibilità di un possibile sequel non ufficiale del capolavoro di Naughty Dog.
Esaurite le similitudini con The Last of Us possiamo evidenziare quelle che l’autore del gioco, Shinki Mikami, si porta dentro come tacche nel DNA: Resident Evil. I richiami alla gestione del personaggio e della telecamere non possono non rimandare al quarto capitolo del survival horror di Capcom, mentre si sprecano le citazioni di regia tanto per il quarto quanto – soprattutto – per il primo, ormai leggendario, Resident Evil.
Da una parte abbiamo delle sessioni di infiltrazione (stealth in gergo), che puntano alla discrezione, al non farsi scoprire e al superare zone “calde” di soppiatto, a passi felpati, magari uccidendo il minor numero di nemici possibile. Dall’altra parte la presenza di trappole ed armi da fuoco (mai sopra il livello di guardia) ci permette di dar fuoco alle polveri e di sfogare rabbia e tensione sui mal capitati mostri di turno.
Se da un lato, replicare le carte vincenti di videogiochi del passato porta ad un’esperienza più intuitiva e facile, dall’altro certamente non fa brillare The Evil Within di luce propria, di originalità di base. Questa è legata soltanto alla sceneggiatura, confidando che la struttura “episodica” del gioco piaccia.
COMMENTO FINALE
The Evil Within è un survival horror in terza persona scritto e diretto dal creatore dei migliori Resident Evil che la storia possa ricordare. A quella saga e a The Last of Us deve l’essenza del suo gameplay e offre un’esperienza solitaria lunga non meno di quindici ore.
L’assenza di multiplayer e di una storia dinamica ed avvincente potrebbero essere elementi determinanti nella scelta di questo titolo, a cui occorre aggiungere, per dovere di cronaca, la praticamente fallimentare realizzazione tecnica. Tenere in considerazione vecchia e nuova generazione di console può far bene alle vendite ma non certo al motore grafico di qualsivoglia gioco, costretto a scendere a più di un compromesso e The Evil Within, in questo, non fa eccezione: graficamente è molto indietro. Per fortuna le ambientazioni sono molto varie e inquietanti quanto basta per stuzzicare la curiosità dei più coraggiosi.
L’esplorazione delle mappe (non molto estese e sostanzialmente lineari) premia con il ritrovamento di oggetti e potenziamenti, utili a rendere il personaggio più efficiente durante le fasi più ardue dell’avventura.
Consigliamo l’acquisto soltanto ai cultori del genere survival horror, astenersi amanti delle emozioni molto forti: The Evil Within stenta ad accordare tutti su questo aspetto, alcuni lamentano un ritmo troppo lento e rilassato, altri considerano il ritmo di gioco – in generale – ben tarato. Noi, personalmente, ci inseriamo tra le prime opinioni ma rispettiamo le seconde, ovvio.
Pregi
Atmosfera azzeccata. Storia godibile. Facile da giocare. Di lunga durata.
Difetti
Realizzazione tecnica deficitaria. Fastidiose bande nere che non restituiscono un buon “effetto cinema”. Non brilla per originalità.
Voto
7,5