Hatred. Quante volte abbiamo sentito parlare di questo gioco e quante volte ne abbiamo parlato… Fin da subito, dal primissimo trailer che ancor oggi ci rifiutiamo di pubblicare, i riflettori sono stati puntati su questo titolo che ha sprizzato violenza da tutti i pori.
Non a caso, Hatred vuol dire Odio. Ed è proprio questo il filo conduttore del dual stick shooter – o sparatutto se volete una semplificazione brutale – firmato da Destructive Creations, software house polacca indipendente che con questo ha fatto il suo debutto nell’industria videoludica.
Ora, dopo aver provato il gioco, possiamo dare il nostro giudizio evitando tutti i vari discorsi o polemiche che hanno accompagnato il titolo. Un gioco che, come anche detto dagli stessi sviluppatori nella nostra intervista, si ispira a Postal, storico titolo che condivide con Hatred il gusto per la violenza gratuita ed anche alle atmosfere di Sin City. Saprà essere quanto meno innovativo? Si farà apprezzare?
Scopriamolo in questa breve recensione ricordando che il gioco ha avuto una gestazione movimentata con l’approvazione su Steam Greenlight, la pubblicazione su Steam, la sua rimozione e poi la riammissione con tanto di scuse da parte di Gabe Newell. Il titolo è arrivato ad inizio giugno sulla piattaforma di Valve con un ottimo esordio sul piano delle vendite, poco dopo su Desura (che però sta fallendo) ma è stato rifiutato da GOG.com. Senza dimenticare che Epic Games che ha sviluppato l’Unreal Engine che muove Hatred, ha chiesto di rimuovere i propri marchi dalla produzione.
SENZA STORIA
Non c’è una vera e propria storia in Hatred. Il protagonista, armato di tutto punto, è “semplicemente” arrabbiato – ed è un eufemismo – col mondo e con l’umanità. Lui è pronto per questo “genocidio” perché sostanzialmente nessuno merita di vivere. Ed è pronto a finire la sua esistenza portandosene con se nella tomba quanti più possibile.
Non c’è altro. La trama è tutta qui. E dopo la celebre sequenza in cui il protagonista fa un monologo sconclusionato e si prepara per la sua missione (preceduta dal tutorial, ndr) il gioco ha inizio con la carneficina.
UNA VIOLENZA SENZA SENSO
Ed è così che Hatred vive. Di odio puro, senza senso. Il personaggio (il suo nome non è importante) non ha una storia da raccontare ma esprime il suo ribrezzo per l’umanità andando a compiere diverse missioni suicida uccidendo indistintamente passanti e poliziotti con efferatezza e lucida follia.
E si che è difficile descrivere queste situazioni ma è altrettanto difficile comprenderle. Inutile girarci intorno anche perché non è questa la sede per tentare di capire il perché. Proviamo a vederlo come un gioco anche perché tanti fiumi di parole sono stati spesi e tavole rotonde aperte.
VIOLENZA IN PRIMO PIANO
Parliamo, quindi, del lato prettamente tecnico e del gameplay di Hatred, visto che di altro non c’è molto. Troviamo uno sparatutto con visuale isometrica (alla Postal, appunto) ma ovviamente con una grafica decisamente più definita.
Il nostro anti-eroe deve soddisfare i requisiti principali delle sue missioni (non tantissime a dire il vero) ma anche delle richieste secondarie che possono aiutare a tenere in vita questo povero disgraziato.
I toni sono scuri, tonalità di grigio con qualche colore supplementare dato dalle esplosioni, dalle luci e dalle sirene delle vetture della polizia e da poco altro.
La scelta cromatica se stilisticamente può apparire azzeccata ed apprezzabile, dal lato del gameplay dà molti problemi perché il protagonista (di nero vestito) si confonde, a volte, con l’ambiente. E comunque non si riesce, in alcune circostanze, a distinguere il nostro uomo con il rischio di essere subito freddati dai colpi a distanza della polizia.
Per riuscire nel folle intento di sterminare tutto ciò che si muove nelle varie mappe di grandezza varia, bisognerà non solo sparare all’impazzata ma anche sapersi coprire – come un gioco di questo genere richiede – e centellinare le proprie munizioni che non sono infinite.
Bisognerà avere colpo d’occhio (ed anche qui non aiuta troppo la scelta cromatica) per raccogliere le munizioni necessarie mentre per riprendere energia, l’unico modo è quello di finire i moribondi con delle esecuzioni.
In questo caso, ed è forse questa “l’unica novità”, si vedono delle scene dove il massacratore finisce in modo efferato, le vittime con colpi di arma da fuoco o con coltellate furiose.
Una violenza in primo piano che ha fatto parlare molto perché gli sviluppatori, in sede di presentazione, hanno sapientemente fatto leva su questi intermezzi per promuovere il gioco. Bene, all’atto pratico, al crudo del gameplay, queste esecuzioni permettono di ripristinare un po’ di energia all’antagonista senza nome.
Hatred si racchiude sostanzialmente in questo. Tecnicamente parlando, il gioco offre un contesto ben fatto anche se minato dalla scelta cromatica volutamente “Dark”. Bella in alcuni spunti magari, ma come già detto poco efficace in termini di gameplay perché confonde non poco alcune fasi di gioco.
I dettagli grafici sono buoni ed è valida la fisica con tantissime parti dei livelli distruttibili. Bene anche gli effetti particellari. Purtuttavia, le note “positive” terminano qui perché il gameplay non è esattamente il massimo. E’ possibile, ad esempio, anche prendere la guida delle auto della polizia ma il sistema di controllo è così impreciso che è preferibile farsela a piedi.
Hatred ha dei comandi scomodi col joypad e si lascia giocare meglio con tastiera (il classico aswd) e mouse. La difficoltà è calibrata bene ed è anche selezionabile per permettere a tutti, anche ai neofiti, di poter giocare senza grossi problemi. I problemi, però, sono altri perché come abbiamo già detto il gameplay è semplice, non è troppo sofisticato ed i comandi non sono granché e ne minano il possibile divertimento che comunque potrebbe esserci.
COMMENTO FINALE
Tanto rumore per nulla. Viene da dire questo se si parla di Hatred perché tolto ogni discorso più o meno valido sul senso di questo gioco o sulla presenza di violenza gratuita ed efferata all’interno di un videogame (non è il primo, non sarà l’ultimo ed anche in altri settori, vedi quello cinematografico, si vedono gli splatter), è tanto fumo e niente (o poco in questo caso) arrosto.
Del fumo abbiamo parlato troppo, mentre dell’arrosto possiamo dire che è piuttosto scarno e poco saporito. Qualche sprazzo interessante dal punto di vista tecnico lo vediamo (esplosioni, fisica, qualche bello spunto sul piano del design e poco altro). Per il resto un normalissimo sparatutto (un Postal 2 ad ambientazione Dark, volendo). che però soffre di alcune lacune sul fronte del gameplay. Il gioco fino a pochi giorni fa ha ricevuto alcuni aggiornamenti per migliorare alcuni bug ed imperfezioni che però non hanno ancora risolto i problemi al gameplay.
Solo un flash si potrebbe dire innovativo, ovvero le esecuzioni con inquadrature in primo piano sul protagonista che finisce in modo brutale le proprie vittime. Queste azioni danno (inspiegabilmente) energia al protagonista. Ma è poca cosa.
Hatred ha vestito volutamente fin da subito i panni del cattivo a tutti i costi per difendere il diritto di essere cattivo a tutti i costi senza però giustificare questa cattiveria dal punto di vista narrativo e con pochi spunti interessanti dal lato tecnico.
Si, è un gioco per adulti (e va dato atto agli sviluppatori di avere rischiato e portato avanti la loro idea dichiarata di pubblicare un gioco – lo ricordiamo a scanso di equivoci – esclusivamente per adulti) ma… non c’è storia, non c’è motivazione (o forse si? Magari recondita?), non c’è un senso a tutto ciò. Ed il gioco, lo ripetiamo, non offre nulla di nuovo al palcoscenico videoludico. Peccato perché Al di la di tutti i discorsi, il gioco offrirebbe qualche cosa di interessante e potrebbe essere divertente se i comandi fossero più precisi. Può interessare gli amanti di Postal o dei dualshooter e pochi altri.